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Quale presepe da valorizzare, quali simboli sbandierare, Carlo Baviera

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Alessandria: «Non mi faccia gli auguri né mi dica Buon Natale. Per me è un insulto. Natale è diventato il contrario di ciò che dovrebbe essere. Se Gesù nascesse oggi diserterebbe le nostre chiese e le contrade per stare in mezzo ai migranti. La sua culla non sarebbe una grotta, ma un barcone in mezzo al mare. I magi non verrebbero su cammelli e dromedari, ma su motovedette e navi ong di salvataggio… con coperte dorate per riscaldare la persona di Dio incarnata nei poveri». <Provocatore> come da copione don Paolo Farinella dà una strigliata refrigerante, una scossa opportuna.

Anche se l’Epifania tutte le feste le porta via, non deve portarne via il significato. Perciò parto dalle precedenti brevi considerazioni (so che i temi attuali sono ben altri e di livello internazionale, ma lo avevo promesso in un precedente contributo) sulla polemica ormai annosa riguardo ai presepi. No per una parte: non lo si deve più fare, per rispetto di chi appartiene ad altre fedi e culture; nei luoghi pubblici sarebbe un’imposizione, così come gli spettacoli scolastici in occasione del Natale con i canti al “bambinello”.  Sì per la parte avversa: perché dobbiamo difende la nostra identità e le nostre tradizioni. Poi incontriamo presepi viventi, presepi napoletani, presepi alternativi.  E su ognuna di queste espressioni, a volte capolavori e opere d’arte, si commenta, si applaude, ci si scontra. Simbolo divisivo anche questo.

Il Papa ha ricordato, con una Lettera Apostolica sottolineare l’importanza di questa tradizione di cui S. Francesco fu il primo esecutore  a Greccio : “vorrei sostenere la bella tradizione delle nostre famiglie, che nei giorni precedenti il Natale preparano il presepe. Come pure la consuetudine di allestirlo nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nelle piazze…. Mi auguro che questa pratica non venga mai meno; anzi, spero che, là dove fosse caduta in disuso, possa essere riscoperta e rivitalizzata. [..] a Greccio Francesco, trovò la greppia con il fieno, il bue e l’asinello. La gente accorsa manifestò una gioia indicibile, mai assaporata prima, davanti alla scena del Natale. Poi il sacerdote, sulla mangiatoia, celebrò solennemente l’Eucaristia, mostrando il legame tra l’Incarnazione del Figlio di Dio e l’Eucaristia. In quella circostanza, a Greccio, non c’erano statuine: il presepe fu realizzato e vissuto da quanti erano presenti. È così che nasce la nostra tradizione: tutti attorno alla grotta e ricolmi di gioia, senza più alcuna distanza tra l’evento che si compie e quanti diventano partecipi del mistero.[..] Comporre il presepe nelle nostre case ci aiuta a rivivere la storia che si è vissuta a Betlemme. Naturalmente, i Vangeli rimangono sempre la fonte che permette di conoscere e meditare quell’Avvenimento; tuttavia, la sua rappresentazione nel presepe aiuta ad immaginare le scene, stimola gli affetti, invita a sentirsi coinvolti nella storia della salvezza, contemporanei dell’evento che è vivo e attuale nei più diversi contesti storici e culturali. In modo particolare, fin dall’origine francescana il presepe è un invito a “sentire”, a “toccare” la povertà che il Figlio di Dio ha scelto per sé nella sua Incarnazione”.

Nonostante ciò da anni ci si accapiglia attorno a questo simbolo, a questa espressione di pietà popolare; perchè? Si accampa un discorso di laicità, e poi ci sono i credenti di altre religioni da rispettare; sì c’è tutto questo. Ma non è solo questo. La questione secondo me è più sottile. E’ vero che, da una parte si è sempre più trasformato in presenza ideologica e identitaria una serie di “simboli religiosi”; dall’altra è aumentato il fastidio nutrito verso quegli stessi simboli quale espressione di pietà popolare, perché in molte occasioni questi sono proposti senza evidenziarne i motivi, il significato, e l’importanza sostanziale più che formale.

Però gioca soprattutto  il tarlo commerciale. Da anni si parla dell’annebbiamento del vero spirito del Natale, a causa della sua trasformazione in un periodo da dedicare al dio denaro, al dio del commercio, al dio delle luminarie. La Chiesa cattolica ha iniziato, dagli anni del post Concilio (almeno questo è dato dalla mia memoria), a criticare la mentalità consumista, a opporsi alle aperture domenicali degli esercizi commerciali non indispensabili. E di contro il capitalismo commerciale si è organizzato e ha reagito. In modo soft, senza dichiarazioni di guerra, né lanciando opposizioni frontali, ha messo in moto la sua strategia del “serpente”: sì quello del Giardino terrestre che, infatuò Eva. E’ così per il Presepe, è stato così con il crocifisso.

Il serpente ci ha dato da intendere che comperare, festeggiare, spendere, regalare, viaggiare, sciare, è meglio! Ma quali presepi? Ma quali messe di mezzanotte? Ma quali novene? Ma quali attenzioni alle vere povertà, alle vere solitudini, al vero freddo? Via tutto, ora è tempo di luci, di iniziative di vario genere. Tutte belle e positive, alcune culturalmente valide: dai concerti, alle mostre, ai libri che si pubblicano per l’occasione, alle serate TV quando non scivolano nel banale. E a seguire anche della stagione degli sconti.

Però … c’è un però. Il messaggio natalizio si affievolisce. Poco alla volta si è rimasti attratti dalle “luminarie” di ogni genere, impantanati in cose effimere e si è perso il senso, lo spirito del Natale. Per non parlare della Pasqua e della Risurrezione! Chi ci crede ancora?

Nel nostro Natale non c’è più posto per Dio, non c’è più posto per la povertà e per la misericordia incarnate in quel bambino dentro a quella stalla, non c’è più attenzione per la famiglia che ha accettato quella nascita: dimentichiamo che Maria era una donna incinta prima del matrimonio, e che Giuseppe ha accettato di fare da Padre e dare un nome/una genealogia ad un figlio non suo! Il politicamente corretto, il culturalmente corretto,il commercialmente corretto non consente di mettere Dio prima di altro.

A questo punto qualcuno osserverà che no, finalmente c’è chi reagisce e si batte perché il presepe si faccia, soprattutto nei luoghi pubblici. Chi si oppone a questo essersi <arresi> ad altre culture. Chi difende la nostra civiltà cristiana. Perbacco ci sono ancora persone coraggiose e con le idee chiare! Semmai è addirittura il Papa ad essere troppo morbido e accomodante. Allora mi chiedo, dando per scontato che questo sia vero (e non lo è), perché queste impennate identitarie, queste difese delle tradizioni cristiane all’inizio del terzo millennio?

Perché, se si vuole l’affermarsi di un vero cristianesimo e dei suoi valori più profondi, non ci si oppone con uguale veemenza all’apertura domenicale dei negozi e dei supermercati (senza far mancare l’essenziale e senza mettere in crisi il turismo, ci mancherebbe); perché non ci si indigna per l’equivoco che paragona le Festività religiose con il semplice appiattimento commerciale o con i week end. Perché anziché invitare le persone a vivere le festività come occasione di volontariato e di carità o con il restare a condividere i rapporti familiari, si inventa di tutto e di più per allontanare da momenti celebrativi, da esperienze spirituali, da occasioni di raccoglimento e introspezione, perché si è sempre meno oppositori del lavoro domenicale? Semplice: non rende elettoralmente e (forse)al PIL.

Perché mai nessuno si è sentito urtato e provocato dagli alberi di Natale e dai Babbo Natale, che sono entrambi di origine nordica? Perché nessun sommovimento rispetto ad Halloween (soprattutto a scuola) che col cristianesimo e la Festa dei Santi e dei defunti c’entra come i cavoli a merenda? Perché non ci sono state sollevazioni popolari rispetto alle frequenti sfilate di Carnevale a Quaresima già in corso? Perché nessuno si cura più minimamente, neanche in quest’epoca di privilegio per il veganesimo e per le diete vegetariane, della proposta di digiuno e di astinenza dalle carni nei periodi indicati?

La mia risposta, ma posso sbagliare, è che Crocifisso, presepe, rami d’ulivo, ceneri e altri simboli religiosi siano diventati per troppe persone solo strumenti: strumenti per battaglie che con la religione e la pietà popolare non c’azzeccano. Questa constatazione convince ancor di più che la religione non è da usare per scopi impropri, per acquisire consensi. Anche quando ci sono <pesci> che abboccano. Da qui una seconda convinzione: la fede è più della semplice religiosità, e alla fede ci si deve sempre allenare e va sempre alimentata e formata.

Di qui la convinzione che anche in questo tempo, nella società, e soprattutto nella vita di ciascuno si sappia tornare alla semplicità che la grotta di Betlemme ci indica e ci ricorda. Quella semplicità che è rispetto di ogni sensibilità, che è annuncio di amore gratuito, che è anche gioia per un evento fondamentale per tutta l’umanità. Che non deve valere un giorno o nel periodo di fine anno, ma sempre. Questo è il Presepe!