Quando ci chiedono “cosa fai nella vita?” bisogna rispondere il lavoro che facciamo o non facciamo. Spesso questa domanda è il più banale dei redditometri, talvolta fuorvianti, perché ci sono disoccupati che hanno di che vivere e professionisti con i debiti. Questa domanda sottintende che siamo ciò che facciamo. Invece è sbagliato: in realtà siamo ciò che siamo e nessuno può affermare con certezza ciò che siamo. Non a caso Montale in un suo osso di seppia usava la formula esistenziale negativa: “Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Ma ogni tanto ci viene chiesto: “della tua vita che ne hai fatto?”.  Quando ci poniamo questa domanda al contrario possiamo riflettere sui nostri traguardi materiali,  sul nostro cammino spirituale, sulla nostra vita sociale. È una domanda che ammette vari tipi di risposte, tutte provvisorie e appena abbozzate. A onor del vero non siamo di solito noi che facciamo la nostra vita, ma è la nostra vita che ci plasma, che fa noi.  La nostra vita è la risultante di tre forze contrapposte: ciò che ci piace e non ci piace fare, ciò che ci sentiamo in dovere di fare e non fare, ciò che siamo costretti a fare e non fare. Però da queste tre forze in parte  nascono anche tre  diversi tipologie di persone con diversi atteggiamenti esistenziali: gli artefici del loro destino, i moralisti, i fatalisti. Ma anche questa è una ipersemplificazione, che però è ammissibile, dato che la vita è già un rovello di suo e non è bene ingarbugliarla ancora di più coi nostri ragionamenti. Così la pensava Einstein: “Quando la soluzione è semplice Dio sta rispondendo”. Invece molti si credono Dio a complicare coi loro pensieri ulteriormente le cose. Al di là di questa citazione è molto difficile rispondere alla domanda “Della tua vita che ne hai fatto?”. Si ripercorrono quasi sempre gli eventi salienti, quelli che riteniamo i nostri istanti decisivi. Ma non si arriva a niente. Chi ha troppi impegni viene preso dall’inerzia della vita. Chi può oziare ritorna sui soliti pensieri, sui soliti ricordi. Siamo spesso schiavi delle abitudini, delle piccole ossessioni, delle convenienze sociali, delle dipendenze da alcune cose, da alcuni luoghi, da alcune persone. Siamo sicuri che si possa scegliere alla domanda suddetta? Rispondere di cosa abbiamo fatto della nostra vita presupporrebbe il libero arbitrio, ammesso e non concesso che sia. Spesso invece ci ritroviamo in balia degli eventi. Ammettiamolo sinceramente: chi è un poco onesto intellettualmente con sé stesso e gli altri sa che non si può rispondere con sicumera a questa domanda. Profeti, predicatori, religiosi di ogni fattezze, uomini pii possono intimorirti o rincuorarti. Vogliono farti pentire. Vogliono metterti sulla giusta strada. Quando sei giovane non ci pensi e te ne fotti allegramente. Ma nella maturità altre domande scaturiscono ancora: dove ho portato la mia vita? Dove mi hai portato vita? C’è tempo e modo per rimediare? Poi cerchi di scacciare queste domande. Un altro tuo giorno è finito. Prima di addormentarti ti chiedi se sei più in grado di convertirti e pregare sinceramente.  Poi pensi a tutta la gente che dice di aver trovato Dio e nonostante ciò continua imperterrita a comportarsi male. Ti chiedi se il detto “senza Chiesa non c’è salvezza” sia anche un modo per fare business. Quindi  senza accorgertene ti addormenti.