La poesia “Rovine” di Oana Lupascu, datata 1° marzo 2024, si presenta come un affascinante viaggio attraverso un mondo di desolazione e ricordi indelebili. Con uno stile magistrale, Lupascu dipinge un quadro vivido di palazzi che resistono come spettri del passato, mostrando cicatrici e vestigia di vite trascorse.

Il titolo stesso, “Rovine”, svela l’essenza della poesia, conducendo il lettore in un universo dove la grandezza di un tempo si è ridotta a nient’altro che nicchie vuote, statue scrostate e antichi affreschi sbiaditi. Le pareti impudiche dei palazzi sono testimoni silenziosi di amori dimenticati, come lenzuola ruvide e tende strappate che portano ancora le tracce di lacrime.

La poetessa cattura maestosamente la decadenza di finestre ormai defunte, svelando una narrazione di decadimento e abbandono. Lungo corridoi e saloni, un tempo solenni e festosi, ora risuona solo l’eco del passato, creando una sinfonia malinconica di ricordi.

Nell’intreccio di ombre vetuste di matrone, uomini severi con colletti alti e damigelle attempate, Lupascu rende omaggio alla variegata umanità che un tempo popolava questi spazi. L’identità obsoleta delle figure che ancora vagano nelle rovine aggiunge un tocco di malinconia, rivelando la persistenza di storie dimenticate.

La presenza di un cagnolino sotto un divano impolverato e di un vedovo in una gabbia dimenticata conferisce un senso di tristezza e nostalgia, ritratti commoventi della condizione umana. Lupascu, con maestria, suggerisce che, nonostante la decadenza, le emozioni e gli esseri viventi hanno ancora un posto tra le rovine.

In conclusione, “Rovine” di Oana Lupascu è una poesia che invita a riflettere sulla caducità del tempo e sulla persistenza delle memorie. L’autrice, con la sua abilità descrittiva e il suo tocco poetico, trasporta il lettore in un mondo intricato di passato e presente, dove anche nelle rovine si può trovare un’armonia poetica tra la desolazione e la speranza.

ROVINE, di Oana Lupascu
Palazzi in piedi mostrano pareti impudiche
Nicchie vuote e statue scrostate
Rughe di antichi affreschi ormai slavati
Si sono arresi e ricoprono pietosi
Amori dimenticati tra lenzuola ruvide rugose
E le tende strappate fanno lacrimare
Orbite vuote di finestre ormai defunte
Che non si aprono più da anni
Nei lunghi corridoi e nei saloni
Una volta solenni e festosi ora regna sovrana Eco
Negli angoli ci sono ombre vetuste di matrone
Che indossano piene di dignità identità obsolete
Sono ancora in cerca di belletti
Di maschere e di inconfessabili amori
E uomini severi con alte tube
E il collo impiccato da colletti alti inamidati e stretti
Pieni di autorità e di autorevole baldanza
C’è anche qualche timida damigella attempata
Con uno scaltro cicisbeo che la corteggia
E dietro c’è la dueña che sorveglia
Pronta però a chiudere un occhio
Sotto un divano impolverato scodinzola ancora un cagnolino
E nella gabbia dimenticato inspiegabilmente
C’è ancora un inseparabile vedovo dal collo storto
Ritratti commoventi della condizione umana
Al di là di ogni ragionevole speranza
Ma ora non li vede più nessuno anche se sono ancora lì
Tranne forse qualche impavido bambino
Che impugna coraggioso la sua spada giocattolo
Sognando di avere in mano la bacchetta di legno di agrifoglio
E di trovare il binario 9 e 3/4
Oana Lupascu
1° marzo 2024