L’uccello ambizione

Eccola, arriva
–l’insonnia delle 3.15–
all’orologio s’inceppa il motore
come se a una rana sulla meridiana
le prendesse un colpo apoplettico
proprio al quarto d’ora.
Trafficare con le parole mi tiene sveglia.
Bevo una cioccolata,
calda mamma marrone.
Mi piacerebbe una vita semplice.
Invece tutta notte ripongo
poesie in una scatolona.
È la mia scatola dell’immortalità,
il mio piano rateale,
la mia bara.
Tutta la notte ali cupe
sbattono nel mio cuore.
Ognuna un uccello ambizione.
L’uccello vuole stramazzarsi dall’alto,
tipo dal Ponte di Tallahatchie.
Vuole accendere un fiammifero da cucina
e immolarsi.
Vuole volare sulla mano di Michelangelo
per riuscirne dipinto sulla volta.
Vuole perforare un nido di calabroni
per uscirne con la testona di una divinità.
Vuole prendere il pane e il vino
per dare alla luce l’uomo che sguazza
felice nel Mar dei Caraibi.
Vuole essere premuto come un tasto
per riuscire a decifrare il mistero dei Re Magi.
Vuole prendere congedo distribuendo a sconosciuti
pezzetti del suo cuore come antipasto.
Vuole morire cambiandosi d’abito
per scattare verso il sole come un diamante.
Vuole. Voglio.
Caro Dio, non sarebbe meglio
bersi una cioccolata calda?
Devo prendere un nuovo uccello
e una nuova scatola dell’immortalità.
Di follia in questa ce n’è già abbastanza.

*

Oh

Nevica e mi pungola la morte,
ostinata come l’insonnia.
La colata di gesso spietata ribolle,
piccole bianche lesioni
si posano sul selciato.
Nevica e la donna di novant’anni
che pettinava i suoi lunghi capelli bianchi,
calco spettrale di sé, se n’è andata,
imbalsamate ancora, anche stanotte
le sue braccia sono lisce
canne di moschetto lungo i fianchi
e da lei esala solo un’ultima parola
“oh”, sorpresa dalla morte.
Nevica. Macule di carta
cadono dalla foratrice.
Salve! Signora Morte è qui!
Asseconda soffrendo i livelli
del mio odio. Odo i filamenti
di alabastro. Là vorrei sdraiarmi
e svellermi la pazzia
come una parrucca. Là vorrei
riposare, nella stanza di lana,
sotto una coperta di neve.
Bianca polvere di gesso o bianchi fiocchi
o monete d’argento, tutto nel lavello
della bocca s’ingorga, “oh”.
Sono vuota. Sono demente.
La Morte è qui. Non esiste
altra sistemazione. Neve!
Ecco il segno, la butterazione!
E tu intanto versi il tè
con mani gentili di bell’uomo.
Poi, con premeditazione,
punti l’indice alla mia tempia e dici
“Troia suicida! Vorrei prendere
un cavatappi e sturarti le cervella
così non torneresti indietro mai più.”
Chiudo gli occhi sopra la tazza fumante
e Dio mi mostra i Denti.
“Oh,” dice Lui.
Mi rivedo bambina che scrivo “oh”.
Oh, caro, non perché.

(Da Il libro della follia, Italian Edition, a cura di Rosaria Lo Russo, Ed. La nave di Teseo, 2021)

Anne Sexton, nata Anne Gray Harvey, nasce a Newton (USA) nel 1928. Ancora giovanissima manifesta scarso equilibrio mentale e psicologico, molto probabilmente anche per i traumi causati da una situazione familiare problematica. Nel 1947 sposa Alfred Muller Sexton. Si trasferisce a Boston, dove lavora per qualche tempo come modella.

Qui comincia a frequentare alcuni laboratori di poesia e viene a contatto con scrittori come Sylvia Plath e Robert Lowell. A partire dagli anni Sessanta, le sue poesie vengono pubblicate in raccolte e antologie. Nel 1967 le viene assegnato il Premio Pulitzer per la poesia. Seguono altri prestigiosi riconoscimenti: non solo premi, ma anche cattedre universitarie e inviti a tenere conferenze.

Il passare del tempo segna un peggioramento delle sue condizioni di salute (soffre infatti di un disturbo bipolare) verso la depressione e l’alcolismo, soprattutto dopo la separazione dal marito. Questa situazione la allontana dalle sue figlie e da molti dei suoi amici più cari. Nonostante ciò, Anne cerca in un primo momento di curarsi, sia seguendo le terapie che impegnandosi in varie attività. I suoi sforzi, purtroppo, si scontrano con la solitudine e la disperazione. Muore suicida nel 1974.

Anne Sexton è considerata l’icona di quel filone letterario definito “poesia confessionale” noto per l’utilizzo del vissuto personale, e in particolare dei traumi e delle esperienze più difficili, come principale fonte di ispirazione. Per lo stile, il linguaggio e i contenuti, questo stile poetico è stato molto vicino alla scrittura della beat generation. Tra le opere più celebri della Sexton ricordiamo le raccolte di poesia Love Poems (1969), Transformations (1971) e The Book of Folly (1972).

Donatella Pezzino

Nell’immagine: Anne Sexton (foto da https://www.thefamouspeople.com/)

Articolo dal blog dell’autrice alla pagina: Due poesie di Anne Sexton – La Sicilia, terra e donna (wordpress.com)