Gervasio Savastano potrebbe essere un uomo felice, imprenditore più che benestante, buona posizione sociale, moglie e figlia affettuose, ma ha un difetto o, meglio, un’ossessione: è vittima di una superstizione esagerata che con il tempo è arrivata a ingigantirsi tanto che il suo quotidiano, in particolare quello inerente all’attività lavorativa, è occupato in gran parte nell’osservazione di scongiuri e nel compimento di atti scaramantici per allontanare cose e persone da lui ritenute portatrici di malasorte. È lui il protagonista della storica commedia che Peppino De Filippo scrisse nel 1942 interpretandola per la prima volta nello stesso anno, ripresa successivamente dal figlio Luigi, poi portata da Enzo Decaro sui palcoscenici di tutt’Italia e in una breve tournée di tre giorni anche al Teatro Manzoni, dove l’abbiamo vista nel giorno della prima.

Il regista Leo Muscato, rispetto all’ambientazione originaria degli anni ’30 scritta da De Flippo padre e a quella degli anni ’50 di De Filippo figlio, ha collocato la sua versione negli anni ‘80, (ne fanno fede i costumi di Chicca Ruocco e la scelta delle musiche, quali “Self Control, “Boys ” ecc.) nell’ottica di fare convivere tradizione e innovazione, rispettando il testo e condensando la vicenda dagli originari tre atti in un atto unico di ’90 minuti suddividendolo in tre quadri con arredi differenziati per ciascuno di essi. Nella scena di Luigi Ferrigno il fondale, che assume varie colorazioni per effetto delle luci disegnate da Pietro Sperduti, è formato da strisce verticali trasparenti che permettono di mostrare l’approssimarsi dei vari personaggi verso la zona interna dove si svolge l’azione. Sul soffitto fanno bella mostra alcune nuvole che ricordano quelle celebri di Magritte e che, insieme a ombrelli aperti inseriti al rovescio e quindi dalla funzione inutile, danno il senso del surreale, metafora dell’esagerato comportamento del protagonista quando deve scongiurare la malasorte.

Al suono di un’allegra session di jazz band con in primo piano un banjo si apre il sipario sull’ufficio di Gervasio Savastano (Enzo Decaro) dove sono presenti l’avvocato Donati (Giorgio Pinto) che sta dettando una lettera alla segretaria e dattilografa Mazzarella (Carmen Landolfi). Subito dopo entra Savastano imprecando per la presenza di un gatto nero introdottosi nel palazzo e che secondo certe credenze porterebbe iella, poi detta una lettera di licenziamento dell’impiegato Belisario Malvurio (Massimo Pagano) perché gli arrecherebbe particolare sfortuna mandando a rotoli un affare importante dal guadagno cospicuo e avendogli già dimostrato in passato di essere portatore di altrettanti influenze negative. Sarà l’arrivo in ufficio di un aspirante al posto di impiegato, per il quale era stata pubblicata un’inserzione, a capovolgere la situazione da quelle che erano sentite come avversità a realizzazioni benevoli degli affari e degli stati d’animo. Il candidato, Alberto Sammaria (Roberto Fiorentino), ha Infatti una cospicua gobba, tradizionalmente creduta come beneaugurale e, in effetti, la sua immediata assunzione sembra essere la panacea di ogni problema facendo volgere al meglio tutti gli affari che erano in corso, anche quelli che stavano andando a monte, con enorme soddisfazione di Savastano che vede risolti di colpo tutti i suoi problemi. Ma la fortuna non sembra durare a lungo perché Sammaria s’innamora di Rosina (Fabiana Russo) la figlia del suo datore di lavoro e quindi è deciso a licenziarsi, ben sapendo che dato il suo stato fisico non potrà mai aspirare alla mano della fanciulla. Savastano si troverà a questo punto a dover scegliere tra il rinunciare alla fonte delle sue fortune e il convincere la figlia a sposare il giovane. La soluzione è affidata al terzo quadro della commedia.

La regia di Leo Muscato conferisce alla commedia un ritmo trascinante grazie alla scelta di non interrompere la recita con uno o due intervalli come previsto in origine. Le uniche due piccole pause, peraltro accompagnate da brevi interventi musicali, sono quelle dovute al cambio degli elementi di arredo, eseguiti a sipario aperto e per mano degli stessi attori, e che appaiono ininfluenti al mantenimento della vivacità dell’azione scenica. Tutti gli attori appartenenti alla Compagnia di Peppino De Filippo si distinguono per la loro dimestichezza con i personaggi tipici della commedia partenopea, ciascuno con i propri tic e le proprie manie. Da segnalare le caratterizzazioni dei personaggi della moglie Teresa e della sorella Concetta del protagonista, rispettivamente Ingrid Sansone e Gina Perna, entrambe divertenti nelle loro vivaci battute in dialetto napoletano. Altro personaggio femminile che emerge nel primo quadro è Carmen Landolfi nel ruolo della svampita segretaria Mazzarella (un dubbio ci assale: quel nome è sempre stato così fin dall’origine?). Terminano il cast Giorgio Pinto (Avvocato Donati), Carlo Di Maio (Ragionier Spirito), Massimo Pagano (Belisario Malvurio), Ciro Ruoppo (il portinaio Musciello), tutti ottimamente inseriti nei loro ruoli.

Enzo Decaro è praticamente quasi sempre presente sul palcoscenico e nel primo quadro sa mostrare pienamente tutte le caratteristiche del suo personaggio con i suoi scongiuri a ogni frase che lo mette in guardia perché potrebbe essere foriera di disgrazie (come pronunciare il numero 17 o il nome di venerdì (la sua settimana, tiene a precisarlo, è di sei giorni: termina il giovedì e riprende il sabato mattina). Possiede un libro contenente il regolamento di tutto quello che porta fortuna e quello che può essere fonte di iella, ha un cassetto ricco di amuleti, quali corni e altri portafortuna, pretende che tutte le persone nell’entrare nel suo ufficio debbano far strusciare per tre volte la suola delle scarpe sul pavimento prima di giungere al suo cospetto. Usa termini “apocalittico” o “tellurico” per definire il peggiore dei mali. Ma è soprattutto nel secondo quadro che rende il meglio di sé quando il suo personaggio deve barcamenarsi tra l’angoscia che prende piede nel momento in cui il suo “portafortuna” umano lo sta abbandonando e il destreggiarsi con moglie e figlia affinché si possa trovare la soluzione per riacchiappare la fortuna. E qui il testo si presenta ricco di risorse da permettergli di esibire alla grande la sua capacità recitativa ricca di sfumature diverse anche in contrasto tra loro ed è anche qui che raccoglie i massimi consensi da parte del pubblico.

De Filippo era stato grande ammiratore di Molière, lui stesso aveva portato in scena sue opere e lo stesso aveva fatto il figlio Luigi. In effetti in “Non è vero ma ci credo” ci sono alcuni temi presi dal teatro del commediografo francese, in particolare ricorre più volte la figura di Argante, il protagonista de “Il malato immaginario”, i mali o presunti tali del quale sono assimilabili a quelli affetti da Savastano fino a un punto del secondo quadro dove viene mossa un’accusa neanche tanto velata alla professione medica che suscitava sempre assillo in Molière.

Recitata prevalentemente in italiano con cadenze napoletane, salvo alcuni momenti in cui il dialetto partenopeo si afferma in maniera più incisiva, e questo avviene per dare maggiore colore ad alcune battute, in particolare quelle pronunciate dalla moglie del protagonista, la commedia mette alla berlina credenze e superstizioni popolari e le conseguenze che ne possono derivare nel momento in cui se ne diventa schiavi. Ma lo fa con leggerezza e molta ironia suscitando quell’ilarità liberatoria, e quella sì che può essere la panacea di ogni male. Resta un dubbio da sciogliere: qual è il significato del titolo? Lo si apprende proprio nell’ultimissima battuta prima del calar del sipario.

Grande successo di pubblico con ripetute chiamate sul proscenio di tutta la Compagnia e tanti applausi anche a scena aperta. Sarebbe opportuno un ritorno a Milano.

Vista il giorno 3 maggio 2024

(Carlo Tomeo)

TEATRO MANZONI di MILANO (dal 3 al 5 maggio 2024):

ENZO DECARO
NON E’ VERO MA CI CREDO
di Peppino De Filippo
regia LEO MUSCATO scene Luigi Ferrigno
costumi Chicca Ruocco
disegno luci Pietro Sperduti
e con (in o. a.) Carlo Di Maio, Roberto Fiorentino, Carmen Landolfi, Massimo Pagano, Gina Perna, Giorgio Pinto, Ciro Ruoppo, Fabiana Russo, Ingrid Sansone.