Il sogno della terza fase repubblicana

Carlo Baviera

Le vicende internazionali, con la invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo, hanno (giustamente) in questi giorni il sopravvento su ogni altra notizia e argomento. Ciò non impedisce, però, di continuare a riflettere e confrontarsi su questioni interne e, per certi aspetti, meno rilevanti e urgenti ma pur sempre importanti per la vita politica democratica.

Nelle cronache giornalistiche la si definisce per semplicità Seconda Repubblica. Termine che non condivido: la storia della Repubblica italiana continua, senza interruzioni, dal 1946 (referendum istituzionale). Semmai potremmo accettare di ritenere gli ultimi venticinque o trent’anni di vita politica repubblicana come il secondo tempo: quelle dell’abbandono del sistema proporzionale puro per l’elezione del Parlamento, e con l’introduzione dell’elezione diretta di Sindaci e Presidenti di Regione.

Dopo (e soprattutto durante) la recente elezione del Capo dello Stato si è tornato (soprattutto Meloni e Renzi) a parlare della necessità di superare il sistema corrente con l’introduzione della elezione diretta del Presidente della Repubblica.

Di questo argomento cerco di parlarne il meno possibile, perché materia esplosiva, perché rischia di confondere (cioè si fa credere agli elettori che finalmente sono loro a decidere col proprio voto, mentre avallano decisioni dei “poteri forti” o occulti o finanziari). Come altri più autorevoli di me hanno già ricordato, un <impianto politico> o viene rivisto complessivamente oppure toccandone un solo elemento porta a squilibrare, in peggio, il tutto.

Inoltre anche i modelli di altri Paesi sconsigliano fortemente. A Oriente pensiamo alla Russia, alla Turchia per fare solo gli esempi più eclatanti; se quelli sono esempi da imitare (e in questi giorni ce n’è l’evidenza), mi permetto di essere in disaccordo. I capi assoluti non sono granchè democratici.

Mi si dirà: prendiamo esempio dalla Francia o dagli USA. In Francia vige il sistema inventato da De Gaulle (che andava bene per il generale il quale se lo è cucito su misura, ma ne ha fatto una specie di monarca senza corona) e che dopo di lui ha prodotto non poche volte la situazione di coabitazione fra un Presidente di orientamento opposto alla maggioranza legislativa. E sempre col pericolo reale di una vittoria di esponenti dell’estrema destra nazionalista e reazionaria.

Quanto agli USA, che io ricordi, da almeno un secolo il Presidente (escluso Barak Obama, comunque figlio di un’antropologa e di un economista, non certo operaio o minatore o casalinga)  lo costruisce chi ha grande disponibilità di finanziamenti. Se poi consideriamo che è proprio dagli USA che sono venuti il 6 gennaio 2021 i colpi più pericolosi contro la democrazia occidentale, dopo il terrorismo, con il tentato colpo di stato da parte dei supporter di Trump e con la politica indecente di quel Presidente, ritengo  che si debba tenere le distanze da un modello che permette tali sconcezze.

Ciò detto comprendo benissimo che anche noi, con le nostre regole e con un sistema <azzoppato> anche per l’insipienza di una classe dirigente che ha pensato hai propri interessi o all’affossamento degli avversari anziché provvedere al corretto funzionamento della democrazia, abbiamo bisogno di rimettere a posto non poche cose; considerando anche la necessità di adeguare ai cambiamenti generali le modalità della vita democratica. Serve ovviare a perdite eccessive di tempo, serve assumere decisioni precise per evitare interpretazioni per ricorsi alla Magistratura, serve l’efficacia nelle scelte, serve avere una maggioranza individuabile e una opposizione altrettanto chiara severa ma corretta.

Bisogna, per dirla sbrigativamente, passare alla terza fase della Repubblica, al terzo tempo. In cui si dia attuazione  per le forze politiche all’applicazione dell’articolo 49 della Costituzione (con la previsione della democrazia interna, la partecipazione sostanziale alle decisioni, la rappresentatività nelle candidature, il dibattito continuo, il diritto all’informazione delle scelte compiute, ecc.). Serve quindi democratizzare di più il sistema, aumentare le occasioni e gli organismi di partecipazione, decentrare anziché accentare la gestione di tutto quanto è possibile, restituire poteri alle assemblee (parlamentari, regionali, comunali).

In secondo luogo che i partiti superino la colpevole incertezza o peggio il disinteresse alla riforma elettorale,  tornando ad un sistema interamente proporzionale, correggendo l’attuale Rosatellum ed eliminando i collegi uninominali che costringono, pur di battere lo schieramento avverso, ad alleanze spesso forzate, che non solo hanno portato a numerosi cambi di casacca degli eletti ma anche a non risolvere la governabilità e costituire Governi improbabili con forze che si erano combattute poco prima. Un modello proporzionale con soglia di sbarramento (5 per cento?), vietando le candidature plurime dei leader in più circoscrizioni, introducendo norme che impediscano il passaggio degli eletti da un partito ad un altro, e alleanze da dichiarate in precedenza.

Il proporzionale avvantaggiando la rappresentatività, si dice che può creare instabilità dei governi: allora si potrebbe ovviare introducendo la sfiducia costruttiva (si può cambiare maggioranza non al buio, ma se si è costruita l’alternativa per sostituirla).

Poi bisogna togliere di mezzo le candidature che portano ad avere “nominati”  (le liste bloccate) e tornare alle preferenze. Magari doppie, uomo e donna, nel segno della parità di genere. Che consentono agli elettori di scegliere.

Non ultimo, ritengo opportuno che si provveda al ripristino del numero dei parlamentari tagliati: si è umiliato Parlamento e Paese sforbiciando in modo generico sulla composizione delle camere legislative. Bisogna contenere le spese, non avere su tutto la doppia lettura, dare più efficienza? Lo si può fare con soluzioni meno affrettate e qualunquiste. E tenendo conto che devono essere rappresentate le minoranze e le aree “periferiche” (montagna, collina, le aree interne dove c’è minore concentrazione di popolazione).

Deve soprattutto tornare la politica, quella che sa prendersi responsabilità, indicare percorsi e soluzioni, capace di confrontarsi e proporre obiettivi alti e strategici, che sa guardare al domani e al dopodomani, superando interessi di parte, immediati, e visioni divisive e rivolte al passato.

Solo un sogno? Chi crede nella Costituzione, nei suoi valori e ha fiducia nella partecipazione e responsabilità popolare e nel futuro ha il dovere di crederci e di provarci.