Secondo le teorie degli umori di Ippocrate e Galeno la salute dipende dell’equilibrio degli elementi nel nostro organismo. Lo stesso vale per la medicina ayurvedica. Nella medicina cinese Yin e Yang determinano l’armonia degli opposti. In fisiologia e nella cibernetica un concetto portante è quello di omeostasi. In psicologia abbiamo la teoria dell’equilibrio cognitivo di Heider. Insomma, da che mondo è mondo, lo squilibrio porta al male. Il deficit e l’eccesso sono considerati negativamente. Forse Aristotele ha condizionato in modo determinante tutti gli altri con il suo concetto di giusto mezzo. Forse, più semplicemente, è un dato di fatto incontestabile e incontrovertibile che l’equilibrio è bene e lo squilibrio è male, anche se spesso neanche si cercano le prove che l’equilibrio sia benessere e lo si assume come postulato di molte teorie. Anche gli stessi latini sostenevano che nella media sta la virtù. Comunque secondo la fisica la sintropia è bene e l’entropia è sciagura infinita, detto in parole povere. Il cambiamento fa paura a molti ad esempio perché non solo può far raggiungere l’equilibrio ma anche perché può romperlo. La vera difficoltà in cui ci imbattiamo tutti è che nella vita l’equilibrio è sempre precario, che basta poco per perderlo, che è difficile raggiungerlo. Non sta a noi giudicare una persona positivamente perché la consideriamo equilibrata o negativamente perché squilibrata. È difficilissimo valutare in questi casi. Nella scrittura molti artisti devono la loro creatività a uno squilibrio neurochimico o psicologico. È proprio quello che li porta a creare. Una volta creata un’opera viene ripristinato l’equilibrio psicologico. Ma bisogna tener presente che non possono sempre far riferimento a questa abreazione, a questa valvola di sfogo. Talvolta non è sufficiente. Talvolta l’equilibrio non viene raggiunto e si entra in una crisi interiore senza precedenti. Affidarsi unicamente alla scrittura può essere negativo, controproducente. Alcuni artisti tollerano anche l’intollerrabile, ovvero il loro grande squilibrio psicologico, per non perdere la creatività. Ma è forse giusto sacrificare tutti sé stessi in nome di un’arte presunta? A mio avviso è puro masochismo. Bisogna invece avere il coraggio e l’umiltà di chiedere aiuto a uno specialista, anche se non tutti gli specialisti sono competenti, empatici, etc etc. È meglio un equilibrio indotto, artificiale di uno squilibrio naturale. È meglio un equilibrio che appiattisce psicologicamente e che inizialmente toglie un poco di creatività artistica, che verrà recuperata dopo qualche mese, piuttosto di uno squilibrio molto creativo. A volte bisogna sacrificare un poco di arte per la qualità della propria vita. È la vita e non l’arte che deve essere messa al primo posto. Primo vivere, dopo scrivere. È bene non fare come Oriana Fallaci, che non curò il suo cancro perché doveva scrivere un libro (o così almeno lei dichiarò). In fondo la felicità sta nel raggiungimento di un equilibrio interiore invece che in pochi momenti puntuali di creazione artistica. E di solito grazie al perseguimento dell’equilibrio interiore si approda a nuove dimensioni dello spirito o almeno a nuova consapevolezza esistenziale, che porta a nuova ideazione e creatività.