RECENSIONE:

Due fratelli, Paolo e Giovanni, vivono nel profondo Sud d’Italia. Il primo, razionale, lavoratore, ignorante e parla solo in dialetto. Il secondo, poeta, religioso, omosessuale. Il loro rapporto si consuma in una quotidianità che non concede molto a nessuno dei due. Non al primo la cui più grande aspirazione è quella di procurarsi un televisore al plasma dallo schermo grande per vedere più vicino possibile le partite della sua squadra del cuore e che intanto è ossessionato dalle zinne delle donne. Non al secondo che si sente incompreso e non sopporta l’ingerenza del fratello quando lo disturba mentre scrive le sue poesie. Sono distanti anni luce e però hanno bisogno l’uno dell’altro. Nel loro passato sono presenti una madre debole che al posto di Giovanni avrebbe voluto avere una femmina che l’avrebbe aiutata in casa a fare i lavori domestici, e, però, difende quel figlio nato “guasto” dalle ingiurie del marito distopico che la ritiene responsabile per non essere stata capace d fare un figlio sano. Da ragazzo Paolo chiedeva al padre di fare uscire di casa Giovanni perché potesse venire a giocare a pallone con lui ma il padre non acconsentiva con la motivazione che il ragazzo era malato. Paolo non capiva che tipo di malattia avesse il fratello. Lo scoprirà crescendo.

Nella sala 3 del Franco Parenti si assiste alla vicenda dei due fratelli raccontata in un passato-presente dalle luci e dagli spazi claustrofobici. Sul fondale un’uscita debolmente illuminata con luce di intensità e colorazione diverse che viene coperta da un asse verticale, o da una tenda o del tutto lasciata scoperta ed è qui che si materializzano cose o altri personaggi, come la figura materna che appare indifferente a quanto vede o come il pruriginoso parroco del paese che raccoglie i peccati che Giovanni gli rivela in confessione e che si innervosisce quando il ragazzo non sa essere più preciso nel raccontare i vari episodi della sua acerba sessualità. Un giorno Giovanni indossa un abito di sua madre e vuole che Paolo interpreti il ruolo del padre ingiurioso così come lo ricorda quando era ancora ragazzo e il fratello lo accontenta, sollevando minacciosamente uno sgabello e minacciandolo: “ricchiiiiooonnne” gli urla, come faceva il padre da lui molto amato e nella cui figura si indentifica completamente, ripetendo le lettere centrali della parola quasi a volergli dare un’intensità maggiore o a imprimergli meglio il senso del termine.

In un’ora di spettacolo, ma chiamarlo spettacolo è un’ingiuria perché merita un termine più alto, per meglio nominare questa triste testimonianza di una realtà ancestrale ancora presente in molti punti del nostro territorio, specialmente in quelle zone culturalmente più arretrate. Ci vuole coraggio per affrontare certo tipo di vita e non tutti riescono ad averlo. In un dialetto napoletano stretto che contiene inflessioni di altri dialetti meridionali come il pugliese, il lucano e il siciliano scelti non per mero esercizio linguistico ma per allargare una zona d’interesse che riguarda il nostro Paese e nella quale è possibile ritrovare queste situazioni.

È un gabbia quella nella quale è rinchiuso Giovanni, un gabbia metaforica che si materializza fisicamente davanti ai nostri occhi e dalla quale l’uomo non sembra riuscire a venirne fuori nonostante i forti scossoni che lui imprime alle assi che la compongono. O forse vi riesce per entrare in un’altra che sarà di genere differente.

Tratto da una storia vera, interpretata dai due bravi Lorenzo Garufo, Alfredo Tortorelli e da Iole Franco nel ruolo della madre, la pièce sa essere feroce e nello stesso tempo disarmante fino a restare impressa sulla pelle di chi vi ha assistito. Dino Lopardo oltre a condurre la regia ha creato un’affascinante teatro d’ombre e di luci sapienti che hanno valorizzato al meglio il luogo della rappresentazione. Ha vinto nel 2019 quale miglior progetto sessione teatro nel Festival inDivenire.

Visto il 12 marzo 2024

(Carlo Tomeo)

scritto e diretto da Dino Lopardo
con Iole FrancoLorenzo GarufoAlfredo Tortorelli
scene e luci Dino Lopardo
collaborazione all’allestimento Collettivo Itaca/Dino Lopardo
sostegno all’allestimento Città delle Cento Scale Festival – Nostos Teatro

produzione Gommalacca Teatro
Festival inDivenire 2019, miglior progetto sessione teatro
Premio Carlo Annoni 2021, finalista