Corrado Govoni in “Naufragio” naviga le acque tumultuose dell’esistenza, dove il mare nero della vita si fa palcoscenico di un dramma personale e universale. Il poeta si descrive come un naufrago, un essere alla deriva, la cui unica salvezza è una tavola sfasciata, metafora potente della precarietà umana.

La tavola, che è anche “materna culla”, evoca immagini di sicurezza e origini, offrendo un contrasto stridente con la realtà del naufragio. Govoni trova un barlume di speranza nell’eterno scintillio delle stelle, che ondeggiano come “un tenero ramo di mandorlo”, simbolo di rinascita e fragilità.

La domanda del poeta – se la luce che osserva sia “luce di fuori mondo” o “vertigine degli abissi incantevoli del nulla” – apre una riflessione sul significato ultimo dell’esistenza e sul ruolo dell’arte come faro nel caos dell’ignoto. Govoni si muove tra la speranza e la disperazione, tra la ricerca di senso e l’accettazione del vuoto.

“Naufragio” è una poesia che lascia il lettore sospeso tra il cielo stellato e l’abisso, tra la lotta per la sopravvivenza e l’accettazione della propria vulnerabilità. In questo breve ma intenso lavoro, Govoni cattura il cuore dell’esperienza umana: il desiderio di trovare la luce nelle tenebre e la forza di continuare a navigare nonostante tutto.

Corrado Govoni.. Naufragio

Sul mio capo di naufrago
galleggiante sul mare nero della vita
afferrato a una tavola sfasciata
materna culla
vedo ancora ondeggiare le stelle
come un tenero ramo di mandorlo.
Luce di fuori mondo
o vertigine
degli abissi incantevoli del nulla?