RECENSIONE:

Sarebbe piaciuta a Čechov questa messa in scena di “Zio Vanja” realizzata da Leonardo Lidi che rappresenta il secondo capitolo di una trilogia delle opere del drammaturgo russo iniziata lo scorso anno con “Il Gabbiano” e che si concluderà nella prossima stagione con “Il giardino dei ciliegi”. Fedele al testo, sia pur affrancato da alcune battute non fondamentali, Lidi, infatti, nel raccontare l’esistenza di individui vittime di un tempo letargico che non sembra evolversi né concedere speranze per il futuro, lo fa adottando uno stile grottesco, quasi da vaudeville, dove i personaggi assumono atteggiamenti clowneschi nei punti chiave della vicenda. È noto, infatti, quanto Čechov non amasse la definizione di “dramma” data alle sue opere e in che modo fossero rappresentate tanto da voler essere spesso presente alle prove delle stesse, così come inizialmente non apprezzasse molto Stanislavskij (anche se poi il successo di “Zio Vanja” alla sua prima rappresentazione fosse stato proprio per merito di questo regista).

Lidi ambienta il suo “Zio Vanja” negli anni ’60, gli attori indossano parrucche e costumi di moda in quegli anni e creati da Aurora Damantim. La scena (di Nicolas Bovey) è costituita da un’enorme parete di legno stagionato di betulla striato da venature scure che sembrano testimoniare un passato che potrebbe essere stato lieto e che con la sua imponenza è simbolo di un’immobilismo in cui vivono i personaggi che agiscono sopra e intorno a una panca, unico elemento di arredo. Il temperamento e la psicologia di ciascuno di essi sono riconoscibili non solo dalle battute che sono pronunciate ma anche dal loro abbigliamento, dalla postura assunta in particolare quando sono immobili, dai movimenti del corpo. Come quelli del dottor Astrov (Mario Pirrello) propri della persona che indulge all’alcool, in questo caso si tratta naturalmente di vodka, e anche esasperati, quando non sa frenare un’eccessiva saccenteria, e irruente nelle sue richieste d’amore. O quelli di Vanja (Massimiliano Speziani), che indossa un costume dimesso e che parla velocemente per meglio imporre la sua personalità mentre in realtà sembra non essergli riconosciuta una sua identità se non quella sancita dal suo stato di parentela (zio) di Sonia (Giuliana Vigogna), la quale a sua volta manifesta la sua inadeguatezza nella postura dei piedi quando è seduta e da una capigliatura sciatta in contrasto con la ricca cofana di Helena (Ilaria Falini), indifferente e sussiegosa quando le fa comodo, ma pronta a concedersi anche con arditezza alle profferte sensuali di Astrov. E così gli altri personaggi, tutti con una propria caratteristica che ne determina l’individualità, messa in risalto con accuratezza da Lidi che in questo modo permette di entrare nell’essenza di tutta la vicenda affidata principalmente alla parola e dove l’azione, l’unica che si svolga in scena, è affidata all’atto finale che segue i due colpi di pistola sparati dietro il muro e rivelatisi a vuoto tanto da provocare tra gli astanti risate collettive e da ridicolizzarne l’autore che finirà per rotolarsi bizzarramente sul parterre.

I personaggi vivono un presente che nella sua monotonia sembra stagnare a lungo e che venga vissuto solo per ricordare il passato, così appare fin dall’inizio nel dialogo tra Astrov e la balia Marina (Francesca Mazza). È l’arrivo del professor Serebrjakov (Maurizio Cardillo) e della sua giovane moglie a interrompere il tran tran della casa che si è protratto per troppi anni. Un’interruzione che sconvolge le abitudini più elementari come gli orari dei pasti ma anche gli animi di Vanja e di Astrov che, già abituati alla loro età non più giovane, avvertono adesso, grazie alla bella Helena, stimoli sensuali ai quali non erano più abituati. E sarà il risveglio di quegli impulsi a dare loro la forza per superare l’ignavia in cui essi avevano vissuto negli ultimi anni, anche se alla fine dovranno soffocarli. Il ritorno a quella che è l’indesiderata ma necessaria normalità verrà sancita dalla voce di Sonia, all’inizio rabbiosa e infine più mestamente rassegnata. Monologo di chiusura che viene inquadrato in uno schermo luminoso bianco, proiettato sulla parete, lo stesso schermo dove prima erano stati proiettati i disegni di Astrov che li mostrava a Helena e, nel suo discorso di salvaguardia della natura, anche vedute di rigogliosi giardini che nel procedere del filmato, diventano sempre più aridi fino all’immagine finale di un villaggio distrutto da un evento bellico.

Non è solo la scena fissa costituita da un muro a essere significativa del senso di immutabilità: il concetto è espresso anche a metà della rappresentazione quando tutti i personaggi vengono a sedersi in fila sulla panca e, mantenendo un’espressione fissa rivolta al pubblico, si mostrano silenti e immobili, per circa due minuti e mezzo: il tempo necessario alla diffusione del brano “Sleepwalk” (“Sonnambuli”) di Santo & Johnny, quanto meno rappresentativo del loro vivere.

Un cast dalle eccellenti prestazioni ha valorizzato l’ottima messa in scena voluta da Leonardo Lidi per proseguire il suo progetto Čechov che alla sera della prima ha ricevuto ottima accoglienza. Repliche fino a domenica 21 aprile,.

Visto il giorno 16 aprile 2024

(Carlo Tomeo)

Piccolo Teatro Strehler (largo Greppi – M2 Lanza), dal 16 al 21 aprile 2024

Zio Vanja – Progetto Čechov, seconda tappa

di Anton Čechov – regia Leonardo Lidi

con Giordano Agrusta, Maurizio Cardillo, Ilaria Falini, Angela Malfitano, Francesca Mazza, Mario Pirrello, Tino Rossi, Massimiliano Speziani, Giuliana Vigogna

scene e luci Nicolas Bovey, costumi Aurora Damantim, suono Franco Visioli, assistente alla regia Alba Porto, foto Gianluca Pantaleo

produzione Teatro Stabile dell’Umbria in coproduzione con Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale e con Spoleto Festival dei Due Mondi

Orari: martedì, giovedì e sabato, ore 19.30; mercoledì e venerdì, ore 20.30; domenica, ore 16.

Durata: 105’ senza intervallo

Prezzi: platea 33 euro, balconata 26 euro

Informazioni e prenotazioni 02.21126116 – www.piccoloteatro.org