Oltre i confini del cielo e del mare, di Miriam Maria Santucci

PREFAZIONE di Maria Elena Mignosi Picone

Un libro di poesie dell’arco di una vita, questo di Miriam Maria Santucci, che, oltre che poesie, ha scritto anche opere in prosa, riflessioni e romanzi come “GORA” – autobiografico, sugli anni del dopoguerra.

Un animo poetico, il suo, forgiatosi soprattutto nella esistenza, a contatto con difficoltà e prove, ma che ha vissuto anche la gioia e la felicità.

Vita vissuta intensamente la sua, con affetti profondi, e anche con l’ardore della poesia, che sorge in lei, ancora adolescente, all’età di dodici anni; animo incline alla riflessione, comincia a scrivere pure dei pensieri, che esprimono già saggezza, nonostante la giovane età. Anche in questo libro ci sono contenuti dei pensieri che risalgono ad anni fa.

Maturità di mente e magnanimità di sentimento traspaiono dalla sua opera.

E non solo. Ma pure possiamo rilevare una padronanza di linguaggio, sempre chiaro, estremamente corretto, semplice e nel contempo musicale, ritmico; non solo versi liberi ma con rima e per di più eleganti endecasillabi.

Lo possiamo notare dai seguenti versi: “Il sorriso negli occhi di un bambino / asciuga le lacrime del cuore, / prezioso e delicato come un fiore / sbocciato all’ improvviso nel giardino”.

Da rilevare l’epilogo di alcune poesie, espresso in tono grave e fortemente incisivo, dove i versi si fanno più brevi e rimangono quasi sospesi, come ad esempio nella poesia “Ode al papà”. Prima: “Il tuo amore leniva le mie pene / ed addolciva ogni triste pensiero / e come torcia di luce sempre accesa / illuminava l’impervio mio sentiero”. Alla fine segue: “Ora non ci sei più …/ ma in me tu vivi …/ ed io per te, stasera, / prego e canto”.

La poesia di Miriam Maria Santucci si caratterizza, oltre che per il suo stile, altamente poetico, ritmico e musicale, anche per il vigore del sentimento, che permea di sé tutti i versi. Ha la potenza di sprigionare nella interiorità di chi legge, una forza di nobile sentire, che alla fine ci si sente edificati e sublimati. Pronti ad aprire il cuore all’amore, alla solidarietà e alla fraternità. Anche se non mancano accenti di amarezza, per tutto il male che si vede attorno, per il venir meno del senso di umanità, o anche per il dolore a motivo di calamità naturali, come alluvione, terremoto e, per ultimo, l’attuale pandemia.

Insomma c’è la vita nella sua poesia. È una poesia che nasce dalla vita. E c’è anche un aspetto particolare che Miriam Maria Santucci ha vissuto in prima persona, sulla sua pelle.

E’ l’esperienza dell’emigrante. “Vocio di tanta gente sconosciuta. / Parole incomprensibili e distanti. / Vie percorse da tanti / ma a me ignote” e in conclusione: “Ormai sono soltanto un’emigrante: / sola, coi miei ricordi e il mio dolore”. In uno dei pensieri afferma: “ Una volta emigrante, lo rimani per sempre … Resti da solo tra la gente, straniero nella tua propria patria”.

Una poesia dolce e potente, carica di ardore di sentimento, non solo verso le creature tutte, ma anche verso il Creato. E nella contemplazione del Creato la nostra poetessa invita a “Immergere l’anima propria / nell’anima della natura / per poter cambiare vita /e renderla pura”. I latini sostenevano che “Historia magistra vitae”, che la storia è maestra di vita, ma ogni giorno noi constatiamo che la storia non ha insegnato niente. Giustamente Miriam Maria Santucci afferma che è la natura la vera maestra della vita. Così infatti scrive: “La natura ci insegna a capire e ad amare”.