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Ogni minuto che Marzio era rimasto nella sua casa era come se avesse tenuto in mano una bomba pronta ad esplodere. Scattava a ogni rumore che sentiva come il frigo in cucina o l’ascensore, vivendo attimi di panico prima di riprendersi. Con un nodo in gola e il fiato corto si muoveva circospetto guardando dietro ogni porta. Si era guardato allo specchio senza riconoscersi entrando in bagno, vedendo l’immagine di un uomo sconvolto, con gli occhi spalancati, pallido, e l’espressione terrificata dipinta in volto.

Una volta raccolto ciò che gli serviva era praticamente scappato di casa, lanciandosi con l’auto fuori dal parcheggio in apnea e fermandosi a rifiatare solo dopo una fuga di un chilometro e mezzo e due semafori rossi superati fortunosamente senza conseguenze. Un cicalino incessante gli rimbombava nel cervello come la colonna sonora di un film di Dario Argento, pensava di impazzire invece non si era allacciato la cintura di sicurezza.
Il suo primo e unico pensiero fu quello di nascondersi e l’ideale sarebbe stato trovare un nascondiglio in un luogo fuori dal mondo. Si ricordò del suo professore che al tempo del dottorato parlava sempre di un paese nelle Alpi Giulie. Alzò gli occhi sui segnali stradali che aveva davanti e prese la strada a destra in direzione nord verso la A14.

Ernesto era aggrappato al ferro con tutto il lato sinistro del corpo. Con lo scarpone destro incastrato in una sporgenza sopra il ginocchio sinistro, tentava di avanzare restando lucido nonostante l’immagine del corpo sopra di lui che penzolava inerme, aggrappato alla ferrata in modo tragico a seguito dell’aggressione subita poco prima nella quale stava quasi rimettendoci le penne.
Gli era apparso salendo per il crostone nei frammentati momenti in cui la roccia consentiva la visuale tra i tratti smussati. Inizialmente gli era sembrato che stesse appoggiato come a rifiatare, doveva essere lo stesso visto dal binocolo. Gli aveva urlato ”Ehi!” imprecando scocciato perché avrebbe dovuto aiutarlo a proseguire, rallentando la marcia e i tempi di ascesa che registrava minuziosamente nel suo Garmin, o peggio ancora, avrebbe dovuto chiamare i soccorsi.

Dopo aver rifilato una sequenza di santi che quella mattina aveva deciso di fargli un dispetto, aveva rivolto di nuovo lo sguardo dalla parte dell’uomo per studiarlo meglio, vedendolo lottare per togliersi una corda inspiegabilmente stretta al collo mentre con l’altra mano resisteva appeso al ferro e con le punte dei piedi tentava di non perdere l’aderenza ai massi sporgenti che lo mantenevano in equilibrio.
Ernesto aveva urlato qualcosa tipo “tieniti con tutte e due le mani, sto arrivando” ma presto si era accorto che la corda non l’aveva stupidamente avvolta da solo, bensì qualcuno la stava tirando dall’alto.

Pensò, senza provare un minimo senso di colpa, che se c’era un assassino che non aveva problemi ad uccidere, non si sarebbe fatto problemi neppure ad ammazzare lui e quindi afferrò il walkie-talkie per urlare dentro una richiesta di aiuto, sperando che Cotton sentisse e soprattutto che l’assassino scappasse. Si! Ma dove? Quello che stava affrontando era un anello che a destra saliva a 2500 m fino alla cresta e a sinistra scendeva per congiungersi all’unico tratto che tornava a terra, avrebbe dovuto affrontarlo. Guardò di nuovo l’uomo appeso. Per raggiungerlo doveva proseguire per altri dieci minuti trovandosi così esattamente sotto di lui, tuttavia da dove era in quel momento riusciva a farsi vedere per tranquillizzarlo e suggerirgli una manovra anti soffocamento.

Un colpo alla testa lo fece sobbalzare e per poco non perse il contatto con i ganci. Avvertì un nuovo colpo mentre tentava di stringersi alla parete. Si fece scudo con un braccio e vide che a colpirlo erano le rocce lanciate dall’alto, breccia sottile ma pungente gli cadeva addosso dopo ogni pietra sollevando polvere che gli entrava in bocca e nel naso e che bruciava gli occhi già stretti per le gocce di sudore che imperlavano la fronte e scendevano lungo le sopracciglia cespugliose. Sentì Cotton informarlo con voce stranamente agitata per lui, di aver chiamato l’elicottero per i soccorsi e la caserma dei carabinieri «Ti sto seguendo con il binocolo, Alpino. Quello è impazzito! Adesso sta cercando altre pietre da lanciarti, vai via da lì»

Continua…

 

Michela Santini

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