Intervista alla scrittrice Lucia Triolo, a cura di Pier Carlo Lava

Alessandria today è lieta di pubblicare in esclusiva per i lettori un intervista alla scrittrice nonché autrice del blog Lucia Triolo.

Biografia Autrice: https://alessandria.today/2020/07/03/la-poetessa-lucia-triolo-e-una-nuova-autrice-di-alessandria-today/

L’Intervista

D) Quando hai iniziato a scrivere, cosa ti ha spinto a farlo e come definisci la tua poesia?

R) Due domande in una ed entrambe molto impegnative.

-per quanto riguarda la prima -quando ho iniziato a scrivere, cosa mi ha spinto a farlo?- ecco: ho iniziato nell’Agosto 2015. La spinta a scrivere, in me, come penso sia accaduto anche ad altri, è stata frutto di un trauma, se vogliamo di una ferita. Parlo di trauma, ferita, per indicare non tanto un evento doloroso quanto l’irruzione di qualcosa di sorprendente che sconvolge un ordine, un sistema di regole e certezze acquisite e ti espone a una condizione di squilibrio e di precarietà, ti fa avvertire il tuo lato debole. Un evento che ti capovolge insomma, quasi mettendoti a testa sotto e piedi in aria.

Posso prendere a prestito l’immagine molto evocativa e provocatoria dei “Libri Unici”* della Casa Editrice Adelphi, per dire che ho iniziato a scrivere perché a me “è accaduto qualcosa e quel qualcosa ha finito per depositarsi in uno scritto”.

Ancora oggi questa origine incide sul mio modo di rapportarmi all’esperienza della scrittura poetica: la ferita è ancora lì viva e aperta a mantenermi capovolta.  

Un’urgenza presiede la scrittura: quella di guardare da un’angolazione diversa tutto ciò che chieda di essere “visto”, “sentito” ad un qualunque livello, per essere ”detto”, tutto ciò che richieda uno sguardo idoneo a far nascere la parola, a far segno. Dispersi come siamo nei nostri giorni, nei nostri anni, tra la gente, tra le mille inutili cose da fare, irriducibilmente dispersi, soprattutto, entro noi stessi, ciò che ho cercato è, per così dire un punto fermo in continuo movimento. L’immagine che potrei offrire per spiegare ciò che intendo con questo strano ossimoro è forse quella di una fessura, di una feritoia (forse, ancora la ferita) da utilizzare per costringere lo sguardo ad assottigliarsi, a farsi acuto, ad assoggettarsi maggiormente al potere di novità, di sorpresa delle cose che ci si fanno incontro fino a penetrarvi dentro. Per uno strano gioco ottico, la ferit(oi)a può anche diventare un cannocchiale che ingrandisce la scena e nello stesso tempo la approfondisce.

-per quanto riguarda il modo in cui definisco la mia poesia, non saprei, non la definisco in nessun modo. Non è discorso che mi riguardi, che senta di dover affrontare: non è problema. Tutt’al più posso dire che non attribuisco alla mia poesia alcun compito etico: tipo “rendere migliori”, anzi, di più, non credo che essa abbia un compito. Semmai la considero un rischio, una provocazione per me che scrivo e per chi mi legge: non c’è nulla infatti, per chi sa guardare, di cui non si possa “dire”, nulla dell’esperienza umana (anche la più atroce) che non sia rilevante per acquistare risonanza nella parola. Lo sguardo che si proietta oltre la ferit(oi)a di cui dicevo, infatti, non sceglie ciò che vede né vede qualcosa che ha scelto ma si trova a darne conto, con tutta la responsabilità che questo comporta.

Ciò che si crea così, di volta in volta, nella poesia, è il gesto di dare (un certo tipo di) realtà a ciò che non ha accesso alla mia personale realtà di carne: dare un corpo di voce e di parola a ciò che non ha corpo di carne: attribuire quindi un corso di azione più o meno incisivo ad un insieme di segni linguistici, grafici. Ritornando al paradigma dei “libri unici”, ogni mia poesia è come un “residuo” nel senso che è sempre un’esperienza unica nel suo genere e per questo sono molto felice se qualcuno mi dice che quando scrivo è come se scrivessi per la prima volta, anche se tratto argomenti già affrontati

D) Ci vuoi parlare dei libri che hai scritto?

R) Ormai ne ho scritti parecchi (L’oltre me (2016, G.A Edizioni.), Il tempo dell’attesa (2017, Edizioni: Il Fiorino), E dietro le spalle gli occhi (2017, La Ruota Edizioni), Metafisiche rallentate (2018 Bibliothèke Edizioni), Dedica (2019 DrawUp Edizioni), Dialoghi di una vagina e delle sue lenzuola (2019, La Ruota Edizioni) 

Non è facile credo, per un autore, parlare di ciò che ha scritto, delle “ragioni” per cui l’ha fatto senza finire in una sorta di metadiscorso che mi è estraneo.

Parto da una premessa: i miei testi quasi sempre rifiutano un’indagine su me stessa, sulla mia personalità: di recente ho letto, in un blog che seguo, che in ultima analisi si scrive per star meglio.  Ecco io non scrivo per “star meglio”. Scrivo sempre per incontrare qualcuno: nei miei testi cerco l’altro; anche quando parlano di me sono frecce dirette ad un interlocutore nell’incontro col quale realizzo me stessa e il mio dire. Sono consegne, dediche 

L’ “Oltre me”, la prima raccolta è anche il primo tentativo di mettere a punto il riferimento all’altro come luogo proprio della mia poesia, nel mio scrivere, come è inevitabile, di me. La prima parte raccoglie poesie d’amore, ma il tema dell’amore si trasforma per via e cerca di farsi stile di scrittura, diventa  modo di esporsi alla realtà del dolore: il dolore della mia storia personale che cerca di muoversi e di prolungarsi in una specie di percezione del dolore del mondo. 

“Il tempo dell’attesa”, è il libro dell’arco teso, della tensione fra i contrari, fra vita e morte, fra prossimità e distanza ma, al tempo stesso, vi si afferma una certa vena autoironica che stempera i toni del dissidio 

“E dietro le spalle gli occhi”, riprende ancora il tema dell’amore

guardato però, questa volta, da un’angolazione che sta tra il sogno e la fiaba.

“Metafisiche rallentate” e “Dedica” segnano, credo, una certa svolta nella mia poetica. Qui davvero, la direzione introspettiva perde ogni carattere di curiosità (psicanalitica) su se stessi e tende a farsi pura materia di dialogo con i volti che ci si fanno innanzi.

Il tempo di “Metafisiche rallentate” non è più il tempo vorticoso del “Tempo dell’attesa”; non l‘attesa, ma la dilazione diventa la nota dominante

Questo per dire della mia storia poetica, per rapidissimi cenni.

Qualche parola a parte meritano i “Dialoghi…” Non si tratta, in questo caso di una raccolta di poesie, ma di uno strano racconto proposto in un duplice versione: per un verso una narrazione in forma di dialoghi e per altro verso una effettiva messa in scena, una sorta di canovaccio per una rappresentazione teatrale che spero possa anche arrivare su un palcoscenico.

Se c’ è qualcosa che accomuna, almeno finora, il lavoro fatto, è la pretesa, sulla quale non transigo, che emerga chiaramente il carattere femminile di chi scrive: i miei testi sono, e debbono essere intesi tutti, come scritti da una donna.  

D) Hai partecipato a numerosi concorsi con ottimi consensi ed ambiti riconoscimenti ce ne vuoi parlare?

R) Devo, in effetti, la pubblicazione (sempre gratuita) dei miei testi ai riconoscimenti ottenuti partecipando a concorsi. Prendo parte di buon grado a quelli che mi sembrano banditi per portare avanti un discorso culturale e di aggiornamento sulla poesia dei nostri giorni. Partendo assolutamente da zero nel mondo della poesia, partecipare è stato anzitutto il mio modo per introdurmi gradatamente sulla scena e farmi conoscere, senza presunzione né velleitarismo, per i testi che scrivevo. Ho sempre pensato e continuo a farlo che siano gli altri, specie se qualificati, a dover esprimere il giudizio su ciò che scrivi.  Per questo non occorreva vincere ma solo farsi presenti, metterci la faccia. Il consenso e i riconoscimenti ci sono stati e questo ovviamente ha arricchito di senso il percorso che avevo intrapreso. Un concorso serio è anzitutto una verifica su quello che stai facendo, sul punto a cui sei arrivato. Conquistare, ad esempio, in questi ultimi mesi un posto tra i finalisti al Premio InEdito di Torino, e pochi giorni fa una “Segnalazione” al Premio Montano per la “raccolta inedita” presentata, è qualcosa che ti dice contemporaneamente che ancora la strada è lunga e in salita (non hai vinto), ma che la stai percorrendo e quindi devi continuare senza scoraggiarti.

D) Diversi tuoi testi sono stati pubblicati su quotidiani e riviste di settore, ce ne vuoi parlare? 

R) Per quanto riguarda i quotidiani, è stata una cosa divertente, cominciata lo scorso anno quando su “Repubblica” è apparsa la rubrica “La bottega della poesia” che raccoglieva i testi dei lettori. Ho mandato qualcosa e sono …apparsa 4 volte: 2 su Repubblica di Roma e 1 su Napoli. Poi anche su Buonasera Taranto. Questa direi che, almeno per il momento, è un’ esperienza che mi ha già dato quel che doveva. 

Diverso è il discorso per le riviste di settore. Lì è un piacere e un onore partecipare: chiedono i miei testi e in alcune mi capita di essere spesso presente. Quando questo accade senti che in qualche modo, e seppure per piccola parte, la rivista cerca, per così dire, la tua impronta e ti senti responsabile doppiamente nella scelta dei testi perché devi dare qualcosa che ti rappresenti veramente e perché nel far ciò devi anche, in un qualche senso, “interpretare la personalità artistica” della rivista.

D) Recentemente sei diventata autrice su Alessandria today, come definisci questa nuova esperienza?

R) La mia gratitudine a te Pier Carlo che hai creduto in me e, a sorpresa, mi hai chiamata, è veramente grande. Considero Alessandria today un importante luogo di ricerca e di informazione, totalmente libero da pregiudizi e prese di posizione dogmatiche. Come a me piace dire, “un luogo laico” non asservito a conventicole politiche, economiche, o anche intellettuali. Mi sento libera, a mio agio, e vorrei offrire questa mia libertà -che è di parole, di sentimento, di sguardo, di ricerca-, alla crescita, per quel poco che posso, del tuo progetto. Alessandria today è per me un’occasione e un palcoscenico privilegiato per arrivare sotto gli occhi di chi altrimenti difficilmente si sarebbe accorto di me. Mi piace anche il suo legame con la città che ne fa una sorta di cassa di risonanza per alcuni momenti importanti (felici e meno felici) di ciò che vi avviene. Sarei felice se anche nella mia città vi fosse qualcosa del genere 

D) Molte tue opere sono presenti in varie antologie, ce ne vuoi parlare?

R) Quello delle Antologie è, a mio avviso, un discorso delicato: forse non le amo. Possono essere un modo culturalmente avvertito per mettere a fuoco lo stato dell’arte in fatto di temi, tendenze, tempi, valori. Possono invece non essere nulla del genere, e rivelarsi un magma un po’ informe in cui ti trovi inserita senza nemmeno sapere in quale compagnia. Per questa ragione cerco di stare molto attenta nel parteciparvi, vagliando curatori e situazioni. Diverso è ovviamente il discorso per le raccolte antologiche di testi che hanno avuto riconoscimenti nei concorsi. Lì è inevitabile l’inserimento, ma questo lo sai fin dall’inizio, fin da quando partecipi al concorso e hai già fatto le tue valutazioni, anzi te lo devi pure augurare perché la tua presenza è segno di un successo

D) Chi sono per te gli scrittori e i poeti? 

R) Si può essere scrittori e poeti almeno in un duplice senso.

-In un 1° senso, gli uni e gli altri sono coloro che mettono giù lettere e segni fino a formare parole, frasi, discorsi ed infine inviare messaggi in “un certo modo”. Tutti quindi possiamo essere scrittori e poeti, se adottiamo quel “certo modo” (per es.: scrivere un racconto o scrivere in versi).

Nella domanda c’è però una sorta di inghippo logico che vorrei mettere  a fuoco e che ci veicola su un altro senso dei termini. 

-In un 2° senso, quando si chiede chi sia (per te) lo scrittore o il poeta ci si intende riferire a qualcuno che è “bravo”, e “capace” nell’usare quel “certo modo” e per tale ragione merita questo appellativo. 

Ora, a mio avviso il giudizio di merito che scatta a questo punto non può essere espresso che sui testi scritti. E poiché non capita mai che tutti i testi di un autore abbiano lo stesso valore e la stessa portata, non deve meravigliare che non tutto ciò che scriviamo “in un certo modo” nel 1° senso, faccia di noi uno scrittore o un poeta nel 2° senso 

Ne viene che 

-si è sempre scrittori e poeti nel 1° senso 

-solo a volte ci capita di esserlo nel 2° senso 

Credo che scrittore e/o poeta nel 2° senso riusciamo ad esserlo solo di volta in volta: quando produciamo testi davvero capaci, come dicevo prima, di dare corpo di voce e di parola a ciò che non ha realtà di carne; testi che danno aria, respiro e azione a ciò che non ha, di per sé, alcun potere di azione

Ne concludo che, per me, poeta e scrittore è titolo che si acquista sempre a posteriori, testo per testo (mai una volta per tutte). Lo stesso vale, intendiamoci, per la musica o la pittura.
Aggiungo: donare capacità di azione e di incidenza su una realtà di carne a ciò che non ne ha, è sempre qualcosa dal sapore miracoloso

D) Quali sono i tuoi autori preferiti e in particolare chi ti ha ispirato? 

R) Leggo molto. E leggo sempre disposta a lasciarmi influenzare, colpire, incidere nella carne da ciò che leggo. Convinta come sono che, in un senso, la poesia non muova mai da un punto zero, ritengo che non restare sordi a ciò che si legge, ne sia la logica conseguenza. La mia più alta aspirazione è quella di “essere erede” di poesia perché è nell’incontro con la poesia altrui che nasce la mia. Non ho problemi di identità: trafugare input, idee, stimoli ai gioielli di Amelia Rosselli, Paul Celan, Ingeborg Bachmann, Mariella Mehr, Anne Sexton, Aleiandra Pizarnik, Osip Mandel Stam, per non citarne che alcuni, è ciò che mi delizia. Mi piace molto anche la poesia più recente, la trovo di spessore. Ma qui ovviamente non faccio nomi

Un debito incalcolabile ho con Paul Celan: leggerlo mi mette sempre i brividi sulla pelle. Non lo leggo, lo mordo e lo assaporo

D) Quante tempo dedichi al giorno alla scrittura e solitamente a che ora preferisci scrivere?

R) risposta breve e lapidaria: tutto il tempo che posso; mi infastidisco quando è poco. Dalle 9 del mattino alle due di notte, ogni momento è buono. Ovviamente, come tutti, vado incontro a situazioni in cui in breve tempo lavoro bene e in un tempo lungo non concludo niente, ma proprio niente

D) Secondo te cosa pensa la gente dei poeti e degli scrittori? 

R) Cosa pensi “la gente” non so: credo di non sapere chi sia “la gente” e sono convinta che se questa categoria c’è, non pensa proprio nulla dei poeti e degli scrittori. Non siamo in cima ai loro pensieri, hanno ben altro, in genere,  di cui occuparsi. Ci sono poi gli addetti ai lavori, i critici letterari togati, per i quali il discorso è diverso: lì si passa da entusiasmi ingiustificati a stroncature altrettanto ingiustificate. Auspico un atteggiamento più moderato e meditato

D) Cosa consigli a chi vuole iniziare a scrivere? 

R) Il desiderio: di leggere, di comunicare, di guardare oltre, di assuefarsi all’ arte del cercare, di amare… 

Insomma consiglio di desiderare, desiderare, desiderare…e poi anche lasciarsi andare, non frenarsi, abbandonarsi a questo desiderare. Trovare un buon maestro, poi, è cosa che può sempre servire.

Altro, davvero non saprei dire, la poesia è un dono

12) Stai già scrivendo il tuo prossimo libro e nel caso ce ne puoi parlare?

Ho già pronte due nuovi sillogi. Della prima dico subito: “Debitum” sarà pubblicata spero nel prossimo autunno. Come può evincersi dal titolo è il mio ringraziamento a testi che amo, ed è composta da più di 45 poesie. Ognuna nasce da una frase, un’espressione, un’impressione, un’emozione di un suggeritore che mi ha detto o dato qualcosa e si snoda lungo percorsi aperti, ma non sempre battuti, da quel suggeritore. E’ divisa in due sezioni: “Debito poetico” e “Divagazioni” Nella prima a far da suggeritore sono poesie di altri poeti, nella seconda invece mi ritaglio spunti da films, pezzi musicali, romanzi etc…E’ un testo che mi ha già dato le prime soddisfazioni perché ha ricevuto la segnalazione al premio Montano 2020 di cui dicevo

13) Progetti e sogni nel cassetto?

Vedo la mia ricerca poetica andare in una direzione che sempre più mi specchia: muovendo dall’idea che di noi si può davvero dir poco, perché nella nostra storia siamo solo i ruoli che ricopriamo, le maschere che indossiamo per impersonarli (Pirandello docet), mi lascio sempre più sedurre dall’idea del provvisorio, del transeunte, di una realtà che ci tocchi per un tempo e poi fugga. Della vita insomma come av-ventura mai scontata che ci si rivela di tempo in tempo dietro la pronuncia concitata di una maschera, su un palcoscenico dove recitiamo la sonorità straripante della parola ora come attori ora come spettatori, dove il nostro grido può diventare canto e il nostro canto trasformarsi in grido, in pianto. E qui incontro altri amici: Antonin Artaud, Werner Schwab, Vladimir Majakowskji, Carmelo Bene etc…

Proprio di tutto questo si occupa la seconda silloge, cui accennavo. Anche questa mi ha dato soddisfazioni perché è entrata nella finale del Premio InediTo -Colline di Torino- 2020

Il mio sogno nel cassetto? Recitare sempre meglio per riuscire alla fine a recitare…bene, “per dar talvolta voce  al pensar dimenticato”*.

* Carmelo Bene: Sono apparso alla Madonna