Il campo

di Helena Malachova

Il campo di morti viventi

Non potete ammazzarmi,
sono già morta:
nel ghetto di Varsavia, dove fucilarono mio parde;
in quella carrozza che portò via mia madre, giravano strane voci, alcuni parlavano di dicerie, ma io non ero sciocca;
nel gelo d’inverno, che si portò via il mio fratellino nella baracca e mi lasciò perle e oro per voi;
nel pagliericcio puzzolente, notte dopo notte, ad aspettare l’alba dell’esecuzione.
Il mio corpo è un mucchio di ossa, e quando cerco di guadagnare una patata nel fango, mi vergogno di me stessa.
Non piango più, non prego, non credo, non sono femmina, mi rigiro negli escrementi e sogno i miei capelli lunghi e folti.
Non potete ammazzarmi.


Tagliatemi un braccio per misurare il tempo che ci mette un corpo a dissanguarsi, trapiantatemi nel cranio il cervello di un maiale o di un eletto, fatemi scavare la fossa per Hanna, che dorme accanto a me e chiama sempre la mamma e non mi fa dormire.
Amavo la vostra lingua, volete saperlo?
La trovavo magnifica, scrissi anche dei racconti in essa e una poesia abbastanza infantile per il mio professore del liceo, c’era la parola “Liebe”, che sento ora suonare da un gramofono degli uffici….pensavo foste romantici!
Potessi ridere, riderei!
Non potete ammazzarmi,
sono già morta, e voi con me.

©Helena Malachova’