Racconto condominiale, di Riccardo Lera

Riccardo Lera

Nel 1971 cambiammo casa. Il piccolo alloggio sito in viale Martiri con due adulti e tre giovani delinquenti ormai cresciuti non era più in grado di accoglierci civilmente. I miei due vecchi avevano scommesso tutte le loro fortune su di un palazzo Gescal di recente costruzione in via Borgonuovo.

E come loro, altre tredici famiglie. Capo tribù di questo nuovo insediamento umano fu eletto il maresciallo del paese Antonio O. Il battesimo urbanistico di questa novella unità abitativa vide assegnare all’edificio un nome assai singolare ma in linea con la nostra condotta di adolescenti e scalmanati teppistelli: Condominio “Casa Nostra”.

Diviso su tre petali architettonici, la formazione che ci riguardava direttamente vedeva al primo piano il Ragionier Q, noi al secondo e al terzo il nostro Maresciallo; il Dottor P al quarto e la famiglia C al quinto.

La vita in un condominio secondo molti è un’arte e, per questo motivo, i miei genitori fin da subito ci vietarono la produzione dello stesso baccano con il quale avevamo condito per lustri la vita del povero Signor M, acusticamente schiacciato fra noi sopra ed il Bar Lux a lui sottostante.

L’aneddotica di quella comunità verticale è ricchissima, colorata ed esilarante, ma di tutte le storie che hanno impregnato quei mattoni, una merita tutta la nostra attenzione.

La notte, si sa, è fatta per dormire. “Casa Nostra” in questo senso offre il massimo del confort. Poco traffico, gente tranquilla e tanto verde intorno sono gli ingredienti necessari a raggiungere durante le ore notturne le necessarie fasi rem ristoratrici. Unico elemento controcorrente è il vento che, specie agli ultimi piani, spira forte, ululando fra gli spifferi di porte e finestre. Ma ci si fa presto l’abitudine.

Una notte di molti anni fa un improvviso rumore fece la sua comparsa fra le tenebre, spezzando i sogni di quattordici famiglie. Non era un vero e proprio un rumore, non so come definirlo. Di tonalità bassa e grave, mordeva le tenebre in un sinistro risucchio. A volte ricorreva ritmicamente, per poi arrestarsi di colpo, ristorando le nostre orecchie e i sensi tutti, nella flebile e sommessa speranza di un suo definitivo cessare. Macché! Quello riprendeva, i muri tremavano nuovamente con vigore e la nostra catena degli ossicini tayloristicamente si rimetteva in moto, lavorando a cottimo fino a mandare in tilt tutto il sistema cocleare.

Non si poteva dormire. Mi alzai, faticando a centrare l’interruttore reso anch’esso tremolante dagli eventi. In corridoio trovai papà in pigiama intento nelle sue celebri analisi scientifiche.

“Potrebbe essere un guasto al sistema idraulico” sentenziò “infatti calcolando il diametro della condotta e dividendola per una pressione che, non conoscendola, ora chiamiamo x…”

Non lo stetti a sentire. Aprii la porta e provai a tendere l’orecchio. Quel miscuglio uditivo sembrava giungere dal basso. Io e il vecchio scendemmo le scale con l’intenzione di chiedere lumi al Ragionier Q, da sempre fido amministratore della nostra magione. Papà fece atto di bussare, ma non fu necessario. La porta si aprì e le nocche di papà per poco non atterrarono sul naso del Ragioniere. Anch’egli aveva la nostra faccia insonne. Ci si propose di confrontare a sei orecchi l’intensità del fenomeno e dopo un paio di processioni a tre, snodatesi fra il primo, il secondo e il pianterreno, tutti fummo d’accordo di provare ad esplorare il terzo piano.

Effettivamente i decibel in più si fecero subito sentire dentro i nostri padiglioni in tutta la loro prepotenza. Un vortice raggelante ci avvolgeva “Uhgh guhh… Uhgh guhh… Uhgh guaaahhh…”

La porta del maresciallo era socchiusa e una lama di luce disegnata sul vano scala ci annunciava la veglia di tutta la famiglia O. Bussammo delicatamente ed un maresciallo avvolto da un pigiamone a rigoni si manifestò in tutta la sua sconfortata insonnia. Dietro di lui, suo figlio G. giaceva semisdraiato su di una poltrona. Con le mani cercava di proteggersi le orecchie con due cuscini.

Ma era inutile.

“Uhgh guhh… Uhgh guhh… Uhgh guaaahhh…”

Non ci fu bisogno di porre domande.

Il maresciallo alzò il braccio destro e il dito indice più in alto che poté.

“Maronna santa!” sospirò quello verso la fonte sonora.

“Ci sta il padre di P che russa!”