Il Parco Archeologico di Segesta sorge sul Monte Barbaro, una suggestiva zona collinare a nord-ovest di Calatafimi, in provincia di Trapani. Il paesaggio, che alterna alture, gole e vallate, si distingue per la straordinaria bellezza della sua natura incontaminata e per gli imponenti resti dell’antica città, fra i quali spiccano il teatro greco e il grande tempio dorico.

La città fu fondata dagli Elimi, gruppo indigeno del quale Tucidide segnala l’origine troiana. Sembra infatti che questo popolo sia la risultante della fusione tra i profughi scampati alla distruzione di Troia, alcuni emigrati focesi provenienti dal Mediterraneo orientale e la locale etnia sicana. Non si conosce con esattezza la data di fondazione, ma i reperti portano ad ipotizzare che il sito fosse già abitato nel IX secolo a.C.

La storia più antica di Segesta è strettamente legata a quella della vicina Selinunte. Le due comunità, infatti, rivaleggiarono costantemente per questioni di confine e a causa delle mire espansionistiche dei selinuntini verso l’entroterra. Il conflitto entrò nella sua fase più critica nel V secolo a C.,  quando le due città, nel tentativo di sopraffarsi l’un l’altra, cercarono potenti alleati nei greci, nei siracusani e nei cartaginesi. La lunga stagione di guerre che ne scaturì portò alla sconfitta e alla distruzione di Segesta da parte del tiranno di Siracusa Agatocle, che ne cambiò il nome in Diceopoli (307 a.C.). Successivamente, la città riuscì a risollevarsi e riprese il suo vecchio nome.

Durante la prima guerra punica (264-241 a.C.), la città si alleò con Roma, alla quale la univa il mito della comune discendenza troiana. I romani proclamarono Segesta “civitas libera et immunis”, assegnandole vasti territori, che comprendevano probabilmente anche la vicina Erice. La Segesta di età romana vide un progressivo spostamento del suo abitato verso la zona costiera settentrionale dell’isola, nei pressi dell’odierna Castellammare del Golfo, dove sgorgava una sorgente termale passata alla storia con il nome, appunto, di “Thermae segestanae”.

Nell’alto Medioevo, Segesta venne poi definitivamente devastata – forse ad opera dei vandali – e mai più ricostruita. In seguito, i Normanni vi eressero un castello, intorno al quale si sviluppò un borgo medievale, e di Segesta si perdettero sia il nome che la memoria. La localizzazione dell’antica città avvenne solo alla fine del XVI secolo, ad opera di Tommaso Fazello. A partire dal Settecento, il sito attrasse studiosi, viaggiatori e archeologi provenienti da tutto il mondo; in questo periodo, il tempio venne sottoposto ai primi restauri.

Le strutture di Segesta che ancora oggi possiamo ammirare attestano l’elevato livello di ellenizzazione raggiunto dagli elimi in un lasso di tempo che, data la sua brevità, ne confermerebbe l’origine troiana o comunque greca. Già nel V secolo a.C., infatti, la monetazione segestana recava leggenda greca; di stretta influenza greca, inoltre, è il santuario i cui resti sono stati rinvenuti in contrada Mango, insieme a cocci di vasellame preistorico, ellenistico e romano. Il ritrovamento di alcune iscrizioni, che riportano in caratteri greci un idioma sconosciuto, ha costituito la chiave per la ricostruzione della lingua elima.

Il teatro, databile al III-II sec. a.C., è stato costruito con un insolito orientamento verso nord, forse per consentire agli spettatori di godere dello splendido panorama. E’ di piccole dimensioni, con una cavea dal diametro di appena 63 metri; i sedili sono stati ricavati operando direttamente sulla collina. Sotto la cavea è ancora accessibile una grotta naturale, che gli architetti vollero conservare in fase di costruzione e che forse fu adibita a luogo di culto. La scena, secondo le ricostruzioni degli esperti, era riccamente ornata da colonnine, pilastri e altri elementi decorativi; l’orchestra, come nel teatro siracusano, era fornita di un passaggio sotterraneo attraverso il quale gli attori potevano sbucare in scena “dal nulla”, sorprendendo il pubblico.

I lavori di costruzione del grande tempio dorico cominciarono nell’ultimo trentennio del V secolo a.C. La struttura, presumibilmente progettata da un architetto greco, si presenta incompleta: è infatti priva della cella interna e del tetto, oltre che delle rifiniture accessorie. Non si conosce quindi la divinità alla quale il tempio sarebbe stato dedicato, così come, allo stato attuale delle ricerche, non si è riusciti a formulare teorie certe sulla natura del suo peculiare aspetto.

Secondo alcuni studiosi, la sua incompletezza sarebbe “voluta”, in quanto riconducibile ad un particolare tipo di santuario elimo. Diversi elementi smentirebbero tale possibilità, accreditando invece l’ipotesi che si tratti di un tempio greco in piena regola e che la sua costruzione sia stata interrotta per motivi bellici. Il periodo di inizio dei lavori, infatti, coincide con la lunga e tormentata stagione di guerre che impegnò Segesta contro la città rivale.

Quello di Segesta è un tempio “esastilo”(ovvero con sei colonne per ognuno dei lati corti) con quattordici colonne su ogni lato lungo, per un totale di trentasei imponenti colonne dell’altezza di dieci metri. Il colonnato della peristasi, perfettamente conservato, si presenta nella sua interezza, ed è completo di trabeazione (architrave, fregio e cornice). Il tetto e la cella interna sono mancanti, le colonne non sono scanalate; sul crepidoma (la piattaforma su cui poggia la costruzione) si notano ancora le “bugne”, ovvero le protuberanze che venivano apposte per proteggere il blocco durante la messa in opera e che sarebbero state poi eliminate in fase di rifinitura.

Tali dettagli hanno avvalorato la tesi secondo cui l’edificio era destinato ad essere completato, tanto più che, interrate all’interno, sono state ritrovate tracce di un abbozzo della cella. Gli scavi hanno portato alla luce anche resti di costruzioni precedenti: ciò ha fatto pensare che il tempio si ponesse in soluzione di continuità con un luogo di culto ancora più antico.

Donatella Pezzino

Dal blog: Donatella Pezzino – la donna siciliana nella storia e nella poesia