Der martin-schulz-spd

di francogavio https://democraticieriformisti.wordpress.com

Già il titolo di questo editoriale del Der Spiegel muove qualche singolare supposizione. Se poi si scorre il testo, il timido sospetto si tramuta in sorpresa, al punto che dopo averlo letto non si può fare a meno di chiederci: che cosa sta succedendo in Germania? Non appena furono divulgati i risultati definitivi nella tarda sera del 24 settembre, alcuni brillanti commentatori constatarono la quasi impossibilità di celebrare una coalizione Giamaica, essendo già noto il diniego della SPD di partecipare al governo della Repubblica Federale: troppe le differenze che separano i liberali dai verdi e per di più le schermaglie tra CDU e CSU, a parer loro, cominciano a non essere più nascoste all’elettore tedesco. Sennonché, buona parte dei media nazionali e internazionali – a esclusione della BBC – propalavano una sorta di parabola politica, secondo cui i tedeschi, in quanto custodi di valori “etnici”, avrebbero necessariamente escogitato un fine meccanismo di “check and balance” tale da riuscire a trovare un accordo persino con il diavolo, pur di santificare l’unità politica della nazione.

La critica espressa da una buona parte della stampa di casa nostra, sapeva un po’ di sberleffo rivolto proprio a noi, latini mediterranei, ostinati ingenuamente nel credere che la politica sia ancora perimetrata dal contrasto ideologico. Ovviamente, tale affermazione non poteva essere altro che una solenne idiozia, in quanto fu proprio un tedesco, Carl Schmitt, uno dei più noti giuristi del 900, a sostenete che la vera natura del “politico” si fonda sull’antagonismo “amico versus nemico”. Concentrando in pillole il pensiero del teorico renano, se ne deduce che estetica ed economia sono “ancelle” astrattamente neutre, le quali possono tramutarsi in contrasto bellicoso solo quando s’inverano nel “politico”. Tesi irreale e impropria quella di Carl Schmitt?

Qualche settimana successiva al chiaro “nein” della SPD, il partito di Martin Schulz nelle elezioni del parlamento della Bassa Sassonia[1] passa, nello stesso Land, dallo scialbo 27,4% ottenuto alle federali, al 37,1%, la Die Linke ottiene il 4,6%, il resto della truppa politica frana miseramente, per non parlare del vistoso calo dell’estrema destra. Allora, in accordo con il Der Spiegel ci si domanda: è possibile che i tedeschi vogliano essere rappresentati per il loro orientamento politico o per i loro interessi di classe e non altrimenti? E’ possibile che una parte della Germania chieda alla sua SPD un disancoramento dalle appariscenti opzione strategiche continentali e internazionali della Merkel, funzionali al suo mercantilismo economico, per una più accorata attenzione alla difesa dei salari, al miglioramento dell’offerta pubblica, alla diminuzione della disuguaglianza, e infine alla riduzione del precariato, della disoccupazione, soprattutto in alcuni Länder orientali, quali il Meclemburgo e la Sassonia? E’ assai probabile che nella sede della SPD, alla Willy Brandt Haus in Berlino, in questo momento non si parli d’altro e che le pressioni nei confronti di Martin Schulz da parte della destra del partito si facciano sempre più forti per la formazione di una rinnovata  Grosse Koalition. Se ciò accadesse, difficilmente Angela Merkel ne sarebbe nuovamente il cancelliere.  

Germany Wins, Merkel Loses

Coalition Talks Collapse 11/21/2017

A Commentary by Ullrich Fichtner

Il crollo dei negoziati per la formazione della coalizione a Berlino è una vittoria per la chiarezza politica in Germania. Le parti coinvolte non sarebbero state in grado di governare insieme in modo efficacie. In ogni caso [questo evento] segna la fine dello stile di governo del cancelliere Merkel.

In primo luogo, la buona notizia: il crollo dei negoziati per la formazione della coalizione a Berlino ha salvato il paese da un governo in stasi. Un governo senza alcuna visione o ambizione. Se il cancelliere Angela Merkel fosse riuscita a stringere un’alleanza tra i suoi democratici cristiani (CDU), l’Unione sociale cristiana bavarese (CSU), i liberali democratici (FDP) e i verdi, il paese – anzi, l’intero continente – avrebbe affrontato quattro anni di stagnazione, con al suo centro un governo tedesco più disarticolato che compatto. Le quattro parti interessate non si sarebbero completate costruttivamente l’una con l’altra. Anzi, sarebbero state vicendevolmente in contrasto.

Anche se molti politici tedeschi durante lo scorso mese di trattative hanno affermato il contrario: la volontà dell’elettorato non era quella abborracciare una coalizione di partiti che non avesse alcunché in comune. Nessuno, ad eccezione di quelli coinvolti, sognava un gabinetto con i vetero-conservatori della CSU, i Verdi ambientalisti e gli opportunisti dell’FDP, riuniti attorno a un unico tavolo. Il fatto che una simile coalizione sia stata oggetto di negoziati, in primo luogo, è semplicemente il risultato di una tradizione in base alla quale le possibili coalizioni sono interpretate come il desiderio dell’elettorato. Non c’era, tuttavia, alcun serio mandato per questa particolare alleanza.

Allontanandosi dai colloqui, l’FDP ha dato un contributo alla chiarezza politica in Germania, anche se non era questa l’intenzione del partito. Coloro che votarono per i Verdi in genere non ambivano ad accomunarsi con l’FDP, mentre i sostenitori della CSU tendono a dimostrare nient’altro che disprezzo nei confronti dei Verdi. Bisogna dirlo: le cose stanno proprio in questo modo.

La rivalità tra le parti è la linfa vitale della nostra democrazia e il loro primo dovere non è quello di garantire il benessere dello Stato, ma di riflettere sulla diversità della società tedesca. È una cosa che i socialdemocratici dovrebbero ricordare agli elettori ora che una grandinata d’appelli ha cominciato a battere sul partito per riconsiderare, per il bene del paese, la loro decisione di rifiutare una rinnovata coalizione con i conservatori della Merkel. Inoltre, rimane ancora corretta l’iniziale interpretazione dei risultati elettorali del 24 settembre, secondo cui l’elettorato ha mostrato il desiderio di liberarsi della coalizione della conservatrice Merkel con l’SPD.

Dove sta andando la Merkel?

Tuttavia, con i colloqui ormai in fase di crisi e l’intenzione dell’SPD di schierarsi all’opposizione, non si vedono altre possibili coalizioni all’orizzonte, ed è onesto affermare che il sistema politico della Germania si trova ora in uno stato di crisi. Per anni, lo spettro dei partiti tedeschi si è frammentato mentre le frange si sono radicalizzate, al punto che a tutt’oggi ben sette diversi partiti politici hanno conseguito seggi nel parlamento tedesco. Di fronte a una tale costellazione, il sistema sta fallendo e non produce più le chiare opzioni di coalizione a cui gli elettori tedeschi si sono abituati.

Appellarsi a nuove elezioni sarebbe come obbligare gli elettori a vivere in uno stato di detenzione fino a quando non sortisca un risultato gradevole all’apparato politico. E se ciò dovesse accadere, sembra probabile che l’alternativa populista di destra per la Germania (AfD) sarebbe il solo partito a trarne profitto. L’unica altra opzione sarebbe la formazione di un governo di minoranza. L’esperimento è stato occasionalmente testato negli Länder tedeschi senza molti danni, ma ciò non è mai avvenuto a livello federale. Nel frattempo, l’argomento strappalacrime, secondo cui l’economia europea più forte non può permettersi un governo traballante non è particolarmente convincente.

Però, la domanda più importante riguarda a quello che accadrebbe alla stessa Merkel. Questo potrebbe davvero segnare l’inizio della fine della sua carriera di cancelliere. In questi ultimi giorni, è diventato evidente che quel suo  notevole potere posseduto in passato sia evaporato, a cominciare dal fatto che quel termine fissato per la fine dei colloqui di coalizione sia scaduto venerdì scorso, senza alcuna conseguenza di sorta. Domenica sera, non solo i negoziati sono terminati, ma anche l’intero Metodo Merkel di governare [è giunto alla fine].

Per anni la Merkel ha estratto l’ideologia dalla politica e nel caso specifico una coalizione con l’FDP e Verdi sarebbe stata il coronamento di questo approccio. Avrebbe fornito la prova che anche con gli ambientalisti e i feticisti del libero scambio, tenuti tutti in riga con la sua mano ferma, sarebbe stato possibile lavorarci insieme. Ora, il passato è storia. Questa crisi è la crisi della Merkel. Sarà interessante vedere come cercherà di affrontarla o se nel caso opposto, soccomberà.

Lo stesso, tuttavia, vale per tutti coloro che hanno investito il proprio capitale politico in questa alleanza impropria. I leader verdi sembravano disposti a rinunciare a molti [dei loro principi] e probabilmente avrebbero affrontato aspre critiche all’interno del partito. La CSU in Baviera si stava già disintegrando ben prima del fallimento negoziale di domenica, e senza ombra di dubbio il partito si pentirà di non aver staccato esso stesso la spina. L’FDP guarderà nervosamente i risultati del sondaggio per vedere quanto malamente potrebbe venire punito il proprio partito. E la CDU della Merkel? Si raduneranno attorno al loro capo e continueranno a invocare quel contenuto idilliaco promesso dal cancelliere. Ma è un messaggio che oramai ha perso tutta la sua credibilità.

http://www.spiegel.de/international/germany/commentary-german-coalition-collapse-the-end-of-merkel-a-1179542.html

[1] http://www.ansa.it/europa/notizie/rubriche/altrenews/2017/10/16/germania-bassa-sassonia-vince-spd-e-riscatta-schulz_240043a4-0ad1-4249-86f6-a7f0c6948d44.html