di Guido Mazzolini

Sarai libero, inutilmente libero. Vanamente solo.
Non soffrirai particolarmente. All’inizio avrai solo un leggero malessere come un ronzio nelle orecchie, una botta sorda di tristezza bastarda nel cuore. Dovrai lavorarci un po’ perché non sarà facile eliminare tutto e cancellare ogni cosa o forse dovrai solo imparare a trattenere gelosamente i ricordi, a diventarne il custode per poterli tirare fuori nei momenti peggiori di tristezza. Dovrai lesinare gli istanti più dolci, quelli che ti aiuteranno a tirare avanti quando tutto diventerà più duro, quando sarà difficile andare a dormire in un letto vuoto.
Non provasti nemmeno a chiederglielo. Neanche un tentativo, un piccolo gesto di resa. Dentro avevi l’inferno, una melma di tristezza che sentivi salire ogni secondo di più. Avresti potuto invocare clemenza e invece sei rimasto così, con l’espressione attonita del condannato a morte che guardandosi dentro non riesce a sentirsi completamente innocente.


Lei ti osservava aspettando una reazione da parte tua, un segnale di paura, di contrizione e dolore. Invece no.
Quando una malattia è allo stadio terminale puoi continuare a curarla, imbottirti di medicine e sperare nel grande miracolo, illudendoti di guarire. Oppure capitoli, alzi le mani e ti consegni alla sorte, tiri i remi in barca e lasci che tutto vada come deve andare, stanco di buttare benzina sulla fiamma morente di una candela.
Maledetta sfortuna degli uomini, la sfortuna di non essere pronti e di essere così differenti. Oggi il cielo si è tinto di un azzurro che pare irreale. Pensi che pochi minuti prima ti avrebbe ricordato il colore dei suoi occhi, da oggi invece quello sarà per sempre il colore del nulla, del disinganno e del più nero abbandono.
Amore che uccide e dilania, amore che redime e dona la vita.
Amore che a volte ci serve soltanto per parlare d’amore.

(Il passo del gambero)

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