Grida, di Dario Ricciardo

Dario Ricciardo

Le cose gridano.

Gridano in tanti pezzi.

Io mi tappo forte le orecchie quando le sento. Gridano, e poi grida la mamma. Poi e anche prima.

Prima le cose volano.

Volano su papà. Volano da mamma a papà. Volano forte, così forte che se prima di gridare sbattono su papà, papà grida. Grida forte, papà. Forte contro tutti. Dice Madonna, Dio, Cristo, dice Porco, Puttana della, Vaffanculo.

A me dice di non dire parolacce, però lui ne dice tante e io mi tappo le orecchie perché mi spavento che Dio si arrabbia. Dio può tutto, così mi hanno detto. Allora unisco le mani e a bassa voce gli chiedo di non fare niente a papà. Papà è buono, solo grida sempre. Fa gridare anche la mamma. Grida la mamma con le cose in mano, quando le cose volano, quando le cose gridano.

Quando grido io con altri bambini, papà e mamma mi dicono di smettere perché non sta bene. Io non li capisco. Mi dicono anche di non fumare. Però loro fumano.

Sanno di fumo le loro mani quando cadono su di me.

Leggera quella della mamma, forte quella di papà. Come le sigarette: leggere la mamma, forti papà. Senza filtro per papà.

Cos’è il filtro?

Quando le mani cadono su di me io non grido, ma scappo e piango. Poi mi chiedono scusa, dicono che hanno sbagliato, che non lo faranno più. La mamma mi dice di dire sempre scusa, grazie e per favore. Per educazione, dice.

Io lo dico: “Per favore mi dai un bicchiere d’acqua?”, lo dico al bar se ho sete. Dico “Grazie”, prima di bere.

“Scusa”, se per sbaglio faccio male a un mio compagno o gli faccio cadere qualcosa dal banco.

Sono colorate le cose sul banco. Anche l’odore è colorato. Le penne ci servono per scrivere le vocali. a-e-i-o-u. Ma a me piace di più disegnare e colorare. Coloro l’ape gialla, l’elefante grigio, l’imbuto azzurro, l’oca bianca, l’uva rossa.

L’oca veramente non la coloro perché il foglio è già bianco, solo il becco riempio giallo. La maestra ride quando le mostro i disegni perché non somigliano tanto a quelli appesi al muro che servono per imparare le vocali, e allora mi dice che per riconoscerli devo scrivere accanto il nome. Io penso che lo fa apposta, così imparo anche le altre lettere dell’alfabeto. Sono ventisei le lettere.

La mamma mi aiuta a fare i compiti dopo che ha stirato e mi dice che se finisco presto mi fa vedere i cartoni animati.

Goku è il mio preferito.

Papà mi porta le figurine di Goku quando torna la sera dal lavoro. Poi le incolliamo insieme sull’album: è simpatico papà quando incolliamo le figurine. Me le porta ogni sera, anche se a volte le nasconde e quando corro da lui per salutarlo mi dice: “Mi dispiace, oggi non le ho trovate”, io ormai non ci casco più anche se fingo di restarci male. Infatti dopo un poco me le fa trovare vicino all’album o in un angolino per terra. Secondo me si diverte a toglierle dalla plastichina e poi a incollarle sull’album, perché è allegro quando lo facciamo.

Cosa sono i coglioni?

Perché invece quando non è allegro dice a mamma “mi hai rotto i coglioni” e la mamma dice che è lui un coglione.

Quando gli ho chiesto cosa significa, mi hanno detto che questa è una brutta parola e loro possono dirla perché sono grandi. Allora ho pensato che forse il fumo da grande non fa male e loro possono fumare per questo. Devo chiederglielo.

Invece ho chiesto se da grande le brutte parole posso dirle. Si sono messi a ridere. Mi hanno detto di sì, che da grande si può. Allora gli ho chiesto a quanti anni si diventa grandi. E vecchi invece?

Mi hanno risposto diciotto e sessantacinque. Ho provato a contare: diciotto arriva presto, per sessantacinque invece ci vuole un sacco di tempo. Però mi divertivo perché contavamo insieme e loro ridevano e non gridavano.

Per morire qual è l’età giusta?

Perché il mio pesciolino rosso è morto pochi giorni dopo che me l’hanno comprato. Galleggiava. A pancia su. Io gli davo il mangime ma lui non lo guardava nemmeno. Ho chiamato la mamma per aiutarlo, ma lei ha detto che era morto perché non gli avevamo cambiato l’acqua. Così la boccia di vetro è rimasta vuota e il pesciolino è tornato a mare. La mamma ha svuotato la boccia nel lavandino e il pesciolino è stato risucchiato, poi ha detto che doveva tornare a mare a riposare. Ha detto che invece gli uomini riposano sottoterra. Io gliel’ho chiesto la sera dove riposano gli uomini, mentre svuotava la boccia non ce la facevo. Piangevo per il pesce. Era rosso chiaro, non come il sangue di papà quando la boccia si è rotta in un grido e un pezzetto di vetro è finito sulla sua faccia. La mamma è subito corsa in bagno a prendere il disinfettante. Papà diceva brutte parole a Dio, la mamma diceva “mi dispiace”, io dicevo a Dio di non fare niente a papà.

Dio a me non mi ascolta sempre. Mamma ha detto che non lo fa perché a volte sono monello e lui ascolta soltanto i bambini buoni. Da quando me l’ha detto ho deciso di fare il bravo. Mangio tutta la pasta, finisco presto i compiti e non piango più.

E quando qui le cose gridano e volano gli chiedo di fermarle e di farle stare in silenzio. Glielo chiedo per favore, come mi ha insegnato la mamma, e gli prometto che se lo fa io sarò buono per sempre.

Ma ancora non lo fa.

Forse non mi crede. Perché sentire, dovrebbe sentire. Dio può tutto, così mi hanno detto.

O no?