“Via Asperger dai libri di medicina, era uno zelante pediatra di Hitler”, di Francesca Sforza – La Stampa

Parla Edith Sheffer, autrice di un libro che sta per uscire negli Stati Uniti destinato a cambiare il giudizio sul medico austriaco che individuò l’autismo

Hans Asperger mentre visita un piccolo paziente

Francesca Sforza

Chi era davvero Hans Asperger, il medico viennese che battezzò la sindrome dello spettro autistico e il cui nome è associato ancora oggi a ricerche pionieristiche sulla neurodiversità? Fino a oggi gli storici lo hanno descritto come un uomo che, malgrado si trovasse a vivere nella Vienna nazista – vi nacque nel 1906 e vi morì nel 1980 – e malgrado facesse il genetista, non solo non fu tra i protagonisti della famigerata Aktion T4 (il programma di eugenetica che portò all’eliminazione di migliaia di persone disabili), ma gettò le basi per una definizione dell’autismo come forma di diversità, non di menomazione, aprendo la strada a una corretta comprensione della malattia.

Come aveva osservato Steve Silberman, autore del bestseller Neurotribù, «Asperger viveva in un mondo di mostri, e il solo fatto che sottolineasse gli aspetti umani della malattia, interessandosi ai suoi pazienti con amore e attenzione, fa di lui una sorta di resistente al Terzo Reich» (domani, sul numero di Origami dedicato all’autismo, Silberman torna sul caso nel corso di una lunga e interessante intervista). Fra pochi giorni però arriverà nelle librerie americane uno studio della storica di Stanford Edith Sheffer, destinato a riscrivere la vicenda: The Asperger’s Children. The Origin of Autism in Nazi Vienna.

Edith Sheffer, pochi giorni fa uno studioso austriaco, Herwig Czech, ha pubblicato uno studio che sembrerebbe trarre conclusioni simili alle sue. Avete lavorato insieme o si tratta di due ricerche diverse?  

«Herwig Czech e io abbiamo condotto le nostre ricerche in modo indipendente. Czech si è concentrato sul ruolo di Asperger nel programma nazista di uccisione dei bambini, mentre io ho affrontato, oltre questo capitolo, tutti gli aspetti della vita di Asperger a Vienna negli Anni 30 e 40, e in particolare le ricerche di Asperger sulla “psicopatia autistica”».

Già altre volte, in passato, è stata sollevata la questione del coinvolgimento di Hans Asperger con il nazionalsocialismo, da molti considerato inevitabile, in quell’epoca. Qual è oggi la novità?  

«Alcuni aspetti del coinvolgimento di Asperger nel regime nazista e nel programma di “eutanasia” infantile erano in effetti conosciuti, anche se i dettagli restavano circoscritti alla comunità degli studiosi di eutanasia in Austria. L’elemento nuovo, oggi, è il quadro completo della vita e del lavoro di Asperger durante il Terzo Reich, e la profonda connessione tra loro che ho avuto modo di rilevare».

Qual è l’elemento chiave del suo studio, che l’ha impegnata negli ultimi sette anni?  

«Il fatto che Asperger abbia approvato il trasferimento di dozzine di bambini dalla sua clinica al centro di sterminio di Spiegelgrund, fuori Vienna, è sicuramente un elemento che merita i titoli di giornale. Ma per noi oggi, penso che sia più importante capire come la definizione di “psicopatia autistica” ideata da Asperger sia stata modellata dall’ideologia nazista. Appena pochi mesi dopo l’annessione dell’Austria da parte dei nazisti nel 1938, Asperger, che si era precedentemente espresso contro la richiesta di una diagnosi sui bambini, introdusse la definizione di autismo come psicopatia. Un termine che portava connotazioni criminali nella psichiatria infantile nazista, e infatti Asperger attribuiva tratti “sadici” e “maliziosi” ai bambini autistici. Ha anche scritto che in alcuni casi più gravi, questi bambini sarebbero cresciuti per “vagare per le strade come automi grotteschi”».

Qual è la cosa che l’ha colpita di più nella biografia di Asperger?  

«Ciò che mi ha stupito di più è che l’idea di autismo esisteva nella psichiatria infantile nazista ben prima che Asperger ne scrivesse. In Germania negli Anni 30, gli psichiatri infantili nazisti avevano identificato bambini privi, a loro avviso, di spirito sociale, incapaci di unirsi alla comunità nazionale. Asperger aveva solo trent’anni, era una figura di secondo piano, ma seguiva l’interesse dei suoi colleghi anziani nel diagnosticare il sentimento di appartenenza alla comunità nei bambini. Sperando in una promozione come professore associato, Asperger affinò la diagnosi anno dopo anno, usando una retorica sempre più fascista».

Avrebbe potuto agire diversamente?  

«Sì. A differenza della sua immagine post bellica, Asperger era lontano dall’essere un ricercatore isolato nella sua clinica e al riparo dall’influenza nazista. Era un uomo attivo, e lavorava all’interno di un sistema di uccisioni di massa come partecipante consapevole. Pur essendo a conoscenza dell’Aktion T4, Asperger sollecitava pubblicamente i suoi colleghi a mandare bambini a Spiegelgrund, contribuiva a realizzare le disposizioni del Reich per inviare bambini a Spiegelgrund, e mandò dei bambini a Spiegelgrund direttamente dalla sua clinica. Funzionari e alti funzionari del partito nazista si fidavano di lui, ed era considerato un leader nella cerchia ristretta dei medici viennesi che si occupavano di eutanasia».

Come dovrebbe essere ribattezzata secondo lei la sindrome di Asperger?  

«La medicina si sta già allontanando dal termine Asperger in favore del “disturbo dello spettro autistico”. L’Organizzazione Mondiale della Sanità sta rimuovendo la sindrome di Asperger come diagnosi ufficiale nell’11a

edizione della Classificazione Internazionale delle Malattie. Ora, per ragioni di etica medica, credo che si dovrebbe rimuovere “Asperger” dall’uso comune. In definitiva, spetterà alle persone decidere come vorrebbe che ci si riferisse loro. Sfortunatamente, “l’autismo” rimane una vasta categoria diagnostica e non abbiamo ancora il vocabolario per rappresentare la diversità delle persone a cui viene diagnosticata».