Di Maria Luisa Pirrone

Una passeggiata tra i vicoli di Alcamo (TP), paese di origine dei miei genitori, mi ha portato a rivedere dopo tanto tempo un Altare di San Giuseppe.

Si tratta di un altare devozionale ornato di pani votivi modellati, le cui origini si perdono nella storia: certamente legato al culto di San Giuseppe, che iniziò a diffondersi nel XV secolo e qui molto forte, potrebbe, tuttavia, derivare da precedenti tradizioni pagane greco-romane legate alla fertilità e all’abbondanza.

Negli ultimi anni se ne allestiscono sempre meno, io stessa ne ho qualche ricordo di bambina, ma proprio per questo motivo vederne uno oggi è un’esperienza ancora più rara e affascinante.

Attraverso un Altaru si chiede una speciale protezione della famiglia dalle avversità o si onora una grazia ricevuta.

Rimane esposto al pubblico per una settimana e per questa ragione si prepara in genere in case o garage che danno direttamente sulla strada, dove chiunque può fermarsi, dire una preghiera, lasciare un’offerta.

A tutti viene regalato il pane votivo benedetto, detto appunto “Pane di San Giuseppe”, che indurendosi rimarrà come reliquia e ricordo.

Ottenuto dopo una lunga preparazione a mano e ore di cottura nei forni nei giorni precedenti, alla sua realizzazione partecipano non solo i membri della famiglia interessata ma tanti amici, parenti e conoscenti che vogliono dare il loro contributo.

I pani sono ricamati e modellati secondo varie forme che richiamano la natura, fiori, piante, animali, e la religiosità cristiana, angeli e simboli della fede, come il pesce e l’uva, la Croce e l’Agnello, nonché la Sacra Famiglia.

I pani sono i principali protagonisti di una tavola riccamente imbandita con le migliori tovaglie e le stoviglie più preziose, fiori e frutti, soprattutto agrumi, e statuette dei Santi. Negli Altari più fastosi si aggiunge una vera e propria scenografia fatta di colonne e tendaggi, create dagli ultimi artigiani rimasti in paese. In cima a tutto, un quadro con la Sacra Famiglia.

La stessa strada viene decorata con palme e insegne. In genere, si fermano tutti i passanti e dalle macchine si rallenta per dare un’occhiata, ma difficilmente qualcuno suonerà il clacson per velocizzare il passaggio. Il rispetto popolare attorno a questi capolavori è quasi pari alla magia che si crea attorno ad essi.

La domenica conclusiva, durante una processione, alcune persone interpretano Giuseppe, Maria, Gesù e due santi. Un tempo si trattava di poveri o orfani, di cui San Giuseppe è il protettore; oggi sono persone legate a vario titolo alla persona o alla famiglia che ha apparato l’Altare.

Durante la processione, lu Bambineddu viene nascosto e cercato dagli altri personaggi in una vera e propria scena teatrale che si conclude con un pranzo, il cui significato originario era, appunto, quello di offrire del cibo ai più poveri del paese.

Le pietanze sono in genere piatti della tradizione e alla loro preparazione contribuiscono vicini, parenti e amici.

Tutto ciò mi è stato spiegato dal gentilissimo proprietario della casa, un caro cugino di mio padre, che mi ha anche invitato ad assistere alla processione.

Della stessa rubrica:

https://alessandria.today/2018/09/19/unalessandrina-in-sicilia-vi-racconto-il-viaggio-nelle-mie-radici/

https://alessandria.today/2018/09/19/unalessandrina-in-sicilia-parte-1-il-volto-arabo-di-mazara-del-vallo/

https://alessandria.today/2018/09/21/unalessandrina-in-sicilia-parte-2-un-delizioso-incontro/