Sulla pelle degli ultimi, sulla pelle dell’Europa, di Agostino Pietrasanta

Domenicale ● Agostino Pietrasanta

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Il blocco della Sea Watch 3 costituisce il simbolo devastante e scandaloso della propaganda leghista; costituisce un simbolo della resistenza allo straniero su cui si è consolidato il consenso elettorale di Salvini nel contesto della confusione grillina e della fragile (eufemismo) “contrapposizione” (non controproposta!) delle minoranze parlamentari. Si tratta di una bufala sulla pelle degli ultimi, dal momento che risulta allo stesso Ministero degli Interni che, nelle settimane appena trascorse, sono sbarcate sulle coste dell’Italia meridionale (Sicilia, Puglia e Calabria) almeno 250 persone, ma soprattutto dal momento che i flussi migratori, per via terra si sono intensificati verso tutta l’Europa.

Resta la constatazione che bisognava trovare un diversivo propagandistico per distrarre l’attenzione dalle derive dovute al nostro debito pubblico e dalla incapacità del governo di intervenire su ben altri settori, dove al contrario hanno agito avvertiti “governatori” del Nord, di varia tendenza politica: basti un cenno al problema delle autonomie regionali. Ovviamente si parla di un diversivo propagandistico, ma dalle conseguenze drammatiche.

Si possono proporre due livelli di considerazioni: uno di valutazione dell’immediato, l’altro di prospettica storica, dal momento che si tratta di capire che cosa pensa e che cosa vuole l’Europa di se stessa.

Di valutazione dell’avvenimento come tale. Si fa notare, ovviamente da parte leghista (grillini allineati e coperti), che la Sea Watch avrebbe violato la legge perché si è opposta al rientro forzato dei migranti in Libia. In buona sostanza di riportarli alle esperienze barbare della tortura e dei trattamenti disumani ritenuti inammissibili dalle “convenzioni” europee; trattamenti tanto disumani da rendere legittima l’accoglienza. Stupisce che in molti dibattiti televisivi, a fronte di modesti e supponenti rappresentanti leghisti che, con sproloquio torrenziale, sostengono le tesi del rimpatrio (?) verso le coste libiche; che ripropongono di conseguenza, una soluzione contraria ai criteri minimi di umanità di una cultura come quella che la tradizione europea dovrebbe (il condizionale!|) sostenere; stupisce, dicevamo, che ancor più modesti conduttori e interlocutori non sappiano o non vogliano, tacitarli. E lascio stare ogni considerazione sul fatto che, anche in questo caso, la Chiesa ha espresso una disponibilità perché subito si rileverebbe che gli accolti a Rocca di Papa, si sono successivamente eclissati. Peraltro per ogni “guerra” si deve trovare una giusta causa, altrimenti la stessa guerra diventerebbe ingiusta; ciò che la perspicacia leghista (grillini al seguito) non desidera affatto. Tuttavia una perspicacia appena un po’ più avvertita dovrebbe  valutare il complesso di un fenomeno che inevitabilmente produce vari passaggi nei diversi stati europei, almeno fino a che l’ Europa non decide per l’appunto che cosa vuole da se stessa. E veniamo al secondo livello delle nostre considerazioni.

Sono “allergico” per convinzioni personali e per formazione storica, ad ogni accostamento tra questioni, eventi e problemi diversi, soprattutto se distanti nel tempo. Ci sono però alcune specificità che grazie a possibili analogie servono proprio solo per capirci. Resta noto che le scorrerie anche violente degli Ungari verso il centro Europa, ebbero fine dopo la sconfitta che subirono al Lech nel 955, per mano di Ottone il Grande. Purtroppo una storiografia manualistica ha scambiato il dopo per il perché, il “post hoc per propter hoc”. La strigliata di Ottone avrebbe potuto determinare una tappa, al massimo temporanea, se non fossero intervenuti fattori ben più importanti di una sconfitta militare: cosa ampiamente sottolineata da una storiografia un po’ meno manualistica. Il fatto è che gli Ungari, a contatto con un’economia agricola e monetaria appresero e si integrarono nella cultura della sedentarietà da quella del nomadismo; e ciò anche grazie all’influsso di una Chiesa, la Cristiana, legata al territorio e alla Comunità.

Si tratta di riconoscere, ricordare e recuperare il contributo di una cultura dell’integrazione; proprio ciò di cui oggi l’Europa è incapace, nonostante una tradizione di straordinaria rilevanza fondata sui principi (non negoziabili, reverendissimi Padri!?) della libertà, della tolleranza e della solidarietà. Purtroppo fin che latita (in altri tempi sembrava in vita sia pure negli Stati delle democrazie nazionali) il soggetto che incarna da tempo queste componenti e cioè la cultura di un Europa che ne precede anche i livelli istituzionali di carattere federativo, non sarà possibile un’integrazione degli arrivi da prospettive ideologiche diverse. Non si tratta di chiudere per salvarsi; si tratta di una virtuosa “conquista” fatta di integrazione che può produrre contaminazione di culture e possibilità di convivenze ormai inevitabili. L’Europa crolla sul piano delle nascite, l’Africa fra alcuni decenni avrà un miliardo di abitanti in più: dove volete che cerchino gli spazi per vivere con la dignità dell’uomo? Se gli “arrivati” si confronteranno con tradizioni di riferimento più convincenti per libertà, tolleranza e solidarietà la “virtuosa” conquista sarà in atto. Con la speranza che qualche spirito faceto non mi accusi di “neo/colonialismo”.